Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2013 alle ore 08:47.

My24

Mercanti, corsari, militari, avventurieri. In gran parte maschi. Sono la maggioranza di chi ha messo i piedi nel Mediterraneo lungo la sua storia millenaria. «Quanto è maschile il mediterraneo?», si chiede Abulafia.
Domanda non impertinente e conseguente a un occhio che scava con pazienza, con sagacia e soprattutto con finezza un grande attore collettivo dall'antichità a oggi, che ha molti nomi: "Mar nostro" per i romani; "Mare bianco"per i turchi; "Grande mare" per gli ebrei"; "mare di mezzo" per i tedeschi", "Grande verde" per gli antichi egizi. Nomi che indicano non solo esperienze ma raffigurazioni che a loro volta individuano fasi ed epoche distinte.
Il Mediterraneo dunque come grande specchio della storia nel tempo lungo che Abulafia propone di riconsiderare, sfidando quel vero monumento storiografico che è Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (Einaudi, 1966) di Fernand Braudel. Se per Braudel Mediterraneo è tutto ciò che è influenzato da e ha relazione con ciò che avviene in quel grande lago salato (come lo chiama) indipendentemente dallo specchiarsi o no sulle sue acque (per Braudel: Vienna, Berlino, Mosca, come le zone aride dell'Africa sono Mediterraneo) per Abulafia significa ricostruire le vicende di coloro che vi hanno immerso i piedi e che, talvolta, sono finiti nei suoi abissi.
Storia che non è sempre stata uguale a se stessa, tanto da definire epoche distinte. Abulafia ne propone cinque tra l'antichità e oggi.
La prima epoca è compresa tra paleolitico e 1000 a.C. quando gli insediamenti sono sparsi e la partita mediterranea si gioca soprattutto a Est, tra Egitto e Anatolia. La seconda arriva fino al 600 d.C. e vede giocare l'intero bacino mediterraneo (l'espansione fenicia, la Grecia delle città-stato e del conflitto tra Sparta e Atene; l'impero persiano e poi Alessandro; Cartagine, ascesa di Roma e poi la sua caduta fino alla nascita dell'Impero d'Oriente). La terza vede il grande conflitto nord-sud tra espansione araba e sistema imperiale carolingio, le crociate, il fiorire dei Comuni italiani, le repubbliche marinare, l'ascesa di Venezia fino alla redistribuzione, demografica, ma anche economica, indotta dalla peste nera di metà Trecento. Una quarta epoca vede il delinearsi del confronto Est/ovest dei grandi sistemi imperiali (Spagna e Turchia), ma soprattutto vede il centro del mondo spostarsi verso l'Atlantico. Una quinta, infine, vede a fasi alterne prima la marginalità del Mediterraneo poi la sua centralità ma soprattutto vede rompere la dimensione lacustre del Mediterraneo con l'apertura del Canale di Suez.
In questa lunga storia sono i porti e i sistemi del traffico su cui si consumano alleanze, confronti, scambi, conflitti a fare la storia delle fortune e dei rovesci. I porti che Abulafia illustra in una serie di cartine che accompagnano ciascun paragrafo del libro e che permettono di seguire una storia in movimento, in cui le fortune economiche vanno lette con i flussi migratori. Le città cambiano spesso fisionomia sociale e culturale a seconda che aprano all'accoglienza o abbiano svolte xenofobe nazionalistiche (è la storia della Spagna del XV secolo, ma poi di Smirne, Salonicco, Alessandria d'Egitto, Marsiglia, Algeri, Creta, Ragusa (oggi Dubrovnik), Cipro, Livorno, Trieste.
Città, in altri casi, in cui si è obbligati a scegliere l'apertura come strategia economica. Per interesse più che per convinzione. Rimanere accoglienti costituisce una possibilità di ripresa economica ed è la sfida che oggi il Mediterraneo ha e che spesso deve praticare per avere un futuro. Una sfida che talvolta obbliga a rinchiudersi nella propria caricatura (Napoli è davvero la pizza? Venezia è solo le gondole?) e talaltra a venire a patti con le proprie convinzioni. È la storia del bikini, poi delle spiagge per naturalisti. Simboli e luoghi a lungo osteggiati nelle spiagge del mediterraneo cattolico, ma infine vincitori (altro segno della crisi del cattolicesimo) perché volano economico della civiltà della spiaggia, dove la notte si fa giorno. La spiaggia, e tutta la filiera a essa collegata, per un mare non più industriale, diviene ora, l'ultima risorsa su cui costruire un'economia di scala capace di consentire la ripresa.
Ma anche questo, sostiene Abulafia, non è una certezza. Il Mediterraneo oggi è un mare segnato dalle fratture, non solo dalla xenofobia interna dell'Europa, ma anche dal muro che sorge in mezzo al mare e su cui vanno a sbattere le molte barche della disperazione. Un mare "sarcofago". Condizione che esprime il vissuto delle nuove paure collettive più che un desiderio di frontiera. Il Grande mare, di là dall'Unione per il Mediterraneo (il consesso di tutti gli Stati che si affacciano su quel mare per definire obiettivi economici, politici e culturali comuni), soffre di un vuoto di progetto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
David Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, traduzione dall'inglese di Luca Vanni, Milano, Mondadori, pagg. 696, € 35,00

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi