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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2013 alle ore 08:51.

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La usa quotidianamente, dopo averla raccontata nei suoi Diari della bicicletta, David Byrne, «nonostante l'aria da sfigato e i pericoli». Per Pasolini la pedalata era invece un'esperienza estetica e poetica, «una cosa bella da essere confusa con un sogno». Mentre lo stilista Paul Smith, delle due ruote vive il piacere postumo: «quando torni a casa», confuso, sudato e felice. Allargando lo sguardo, l'antropologo francese Marc Augé, autore del pamphlet Il bello della bicicletta, dedicato in parte alla felice esperienza parigina del Vélib, con quelle comunali «scivola di nascosto in un'altra geografia urbana che, con la forza del polpaccio, stimola una rinata curiosità». E lancia da Torino, dove risiede da qualche tempo, un garbato appello all'italica pigrizia: «riprendiamoci le piazze», a cavallo di due ruote. È la filosofia di gruppi facebook come «Milano in bicicletta? Si può fare!» e blog come «vadainbicicazzo», dedicato ai "cattivi", quelli in auto. Che restano al palo. Perché la bicicletta, facile e accessibile, è come una matita leggera che ridisegna sulla mappa delle città traiettorie nuove e libere. Ma la rivoluzione verde disegna soprattutto nuovi scenari, sociali e letterari. Il più fortunato, l'Elogio della bicicletta (1973) del filosofo Ivan Illich, dà una lettura rivoluzionaria: l'unica energia non inquinante è prodotta dal nostro metabolismo, quella del mondo si sta spegnendo e la bici è l'ultima possibilità di salvezza.
l'origine della specie.
È raccontata in volumi come l'iconografico Ciclopedia e il poderoso Bicycle: The History di David Herlihy. I ciclisti sono una specie in evoluzione, accompagnano in silenzio le mutazioni urbane e l'utopia, intesa come bel luogo (eu-topos), di un mondo accessibile e sostenibile. A ciascuno la sua, dal carbonio al bamboo, per pedalare oltre quell'«età del limite» che secondo Serge Latouche porterà alla nostra estinzione entro il 2070. In Italia, di luoghi belli per i ciclisti ve ne sono troppo pochi (il migliore, secondo tripadvisor, i venti chilometri dell'«Area 24» da Ospedaletti a San Lorenzo), con poco più di tremila chilometri di ciclabili urbane. E le città-laboratorio della bicicletta sono tutte in provincia: Mestre, Ferrara e Bolzano. Terzi in Europa per mortalità sulle due ruote e ultimi per il loro utilizzo sul totale degli spostamenti, da noi ci si muove in auto per andare dal pizzicagnolo sotto casa. In pratica, si fa il giro dell'isolato e si ritorna al punto di partenza. Eppure l'alta velocità urbana è già qui: se ciascuno di noi usasse la bici per spostarsi in città, avremmo bisogno di un diciottesimo dei parcheggi, Cycle Logistic ha calcolato che il 50% delle merci in Europa potrebbe viaggiare su due ruote. Prima di stancarsi si possono fare una dozzina di chilometri, sufficienti a percorrere la grande maggioranza dei nostri centri storici, che si stanno adeguando: le nuove mappe dei ciclisti urbani comprendono, da Palermo ad Aosta, luoghi dedicati, dalle ciclofficine (la prima, il Don Chisciotte a Roma) in cui riparare gratuitamente le bici ai Vélocafé dove passare dall'espresso alla chiave inglese. Per chi vuole cavarsela da solo, è uscita la ristampa del celebre Manuale della bicicletta felice di Peter Drinkell (Vallardi), fedele al motto dei riciclisti: ricupera, riusa, ricicla.
start-up e scatto fisso.
La metafora della vita arriva invece dalla rinnovata passione per lo scatto fisso, biciclette ad un unico rapporto, in cui non si smette mai di pedalare. Sul web, le community si muovono, per l'aperitivo o un tour da cento chilometri, sulle stesse bici che lo spazzacamino valdostano Maurice Garin montò per vincere il primo Tour de France nel 1903. A lui si ispirano i Blacknarrow, al motto «si torna giovani, si diventa poeti». Mentre la Ciclofficina itinerante (sosbici.blogspot.it) si presenta in questo modo: «Quando trovo una bicicletta abbandonata mi sento come una suora davanti a una ragazza madre». Intanto nascono fenomeni insoliti, come il Bici Caffè (o il portale omonimo bicicaffe.com, dove trovare mezzi inusuali come cargobike e tricicli per adulti), bar itinerante costruito su una bicicletta che offre spettacoli di teatro di strada per un pubblico ristretto, da una a cinque persone, al costo di un euro. Salendo di prezzo (2.800 sterline), l'oggetto del desiderio, nel catalogo ideale del cicloamatore urbano, si chiama Gocycle (Eurobike Award 2012), prodotta dalla start-up Carbon Kinetics. Design, tecnologia e lifestyle in poco più di quindici chilogrammi pieghevoli e ad assistenza elettrica, nati dalla visione del designer londinese Richard Thorpe. Talmente bella (e reale) da osare immaginare città possibili, per ora invisibili, popolate da questi silenti veicoli bianchi su cui viaggiare, indifferentemente, in bermuda o smoking. Mentre in Italia l'eccellenza si chiama Abici, «nostalgia del futuro» con modelli esaustivi come «Camporella» e «Sveltina». Le bici più belle del mondo, al costo (se ci pensate) di una utilitaria quasi da rottamare.
l'arte della bicicletta.
Sono 128 gli spettatori ciclisti ammessi ai concerti dei Tetes de Bois; quelli necessari a generare l'energia elettrica per illuminare e amplificare. Goodbike (Premio Tenco 2010) è il primo spettacolo al mondo con palco a pedali. Mentre l'artista cinese Ai Weiwei illumina, proprio in questi giorni a Toronto, per la Nuit Blanche, le 3.144 biciclette dell'installazione Forever Bicycles, meraviglia geometrica che racconta in silenzio il bello della bicicletta: la rivoluzione con i polpacci, tra un caffé e l'utopia di una pedalata, fino alla fine del mondo.

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