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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2013 alle ore 17:49.

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Persino Al Jazeera ha sguinzagliato i suoi inviati per intervistare l'assessore-sceriffo di Prato Aldo Milone. Un poliziotto che si libera delle mostrine dopo aver lavorato un vita al Sisde di Prato, i vecchi servizi segreti, e poi da vicequestore nella città toscana.

La politica chiama all'appello. Il padre e il fratello sono stati vicesindaco e assessore a Sarno, terra di conservieri e parlamentari, ma lui di tornare in Campania non ne vuol sapere. La sua città adottiva è Prato, i due figli pratesi. Lui stesso, malgrado la "c" aspirata non faccia parte del suo repertorio linguistico, dal '95, quando era poliziotto e i cinesi a Prato non più di 3mila (ora quelli regolari sono 14mila, gli irregolari 25mila), avvicinava tutti i politici e i responsabili delle forze dell'ordine: «Dotto', guardate che questi so' peggio delle cavallette». Nessuno gli dava retta, sembravano ansie da poliziotto del Sud che ingigantisce i fenomeni per deformazione professionale. Ma Aldo è capatosta, più tignoso dei pratesi. Qualche anno fa un ex sindaco di Prato, Fabrizio Mattei, ora consigliere regionale, gli dà finalmente ragione: «Abbiamo sottovalutato il fenomeno». Aldo invece non l'ha mai preso sottogamba. E per arginare la marea montante dell'impero di mezzo, capisce in fretta che deve misurarsi con i voti e i consensi dei pratesi. Nel 2007 per la prima volta siede sulla poltrona di assessore alla Sicurezza e installa i suoi uffici al comando della polizia municipale, un cubo di cemento ingentilito da finestre rosse. L'incarico dura un anno e lo sceriffo Aldo capisce che è arrivato il momento di scelte radicali. Alla Camera di commercio le code dei cinesi pronte a registrare una ditta individuale sono più lunghe che in Questura. Racconta Milone: «Sono ditte con un solo addetto, che chiudono al secondo anno di attività. Per prassi, i controlli fiscali scattano non prima di 20 mesi: i cinesi lo hanno capito e alla scadenza del biennio cancellano la vecchia ditta e ne aprono un'altra».

La Giunta di cui Milone è assessore regge appena un anno. Nel 2009 si torna alle urne e questa volta l'assessore-poliziotto crea una sua lista civica e si candida a sindaco. L'immigrato di Sarno impugna il codice penale (e tributario) contro gli asiatici che hanno monopolizzato il distretto tessile pratese. Ottiene il 2,5% dei consensi, voti decisivi per far prevalere il Centro-destra dopo sessant'anni di dominio rosso. Aldo ritorna assessore alla Sicurezza a furor di popolo. E stavolta i suoi amici gli mandano a dire cosa pensano di lui i 40mila cinesi di Prato: «Se ti beccano mentre attraversi sulle strisce pedonali, ti stendono». L'assessore capisce di essere sulla buona strada. «Vogliono ammazzarmi? Significa che sto lavorando bene». E con i suoi ottanta uomini e donne organizza un paio di blitz notturni a settimana. I poliziotti si arrampicano sui condomini e si calano in enormi stanzoni dove i cinesi lavorano tutta la notte con i bambini addormentati accanto alle macchine da cucire. Flora Leone, capo del nucleo antidegrado, capelli biondi e fisico da body builder, in una notte sola ha messo i sigilli a cinquanta laboratori abusivi di via Rossini. La polizia municipale interviene su sollecitazione dei cittadini che faticano a dormire per il rumore incessante delle macchine da cucire. È una lotta in cui i cinesi brillano per astuzia. Dice il commissario Leone: «Se ne inventano una al giorno. L'ultima novità? La notte dopo il sequestro dei macchinari, i cinesi violano i sigilli, caricano le macchine su un Tir e le rivendono ai loro amici. Un giochetto che abbiamo stroncato con uno stratagemma: basta staccare le schede elettroniche dai macchinari e portarle al comando». Sembra un episodio di Tom & Jerry in riva al Bisenzio. Via Pistoiese il loro regno. A destra e a sinistra una selva di insegne in cinese e italiano («Ho dovuto imporre l'obbligo del nostro idioma a forza di sequestri e multe salatissime», racconta Milone), con le facciate delle case trasformate in tazebao da numeri di cellulare e ideogrammi: «Sono recapiti di donne che si prostituiscono o di persone che cercano casa e lavoro. Scrivere sui muri è il loro modo di comunicare», spiega l'assessore. Al Macrolotto 1, nella prima periferia, una volta sede delle floride aziende pratesi, stesso spettacolo: uno dopo l'altro una serie impressionante di negozi all'ingrosso con prodotti made in China. In pochi sanno che non esiste un patto di estradizione tra Italia e Repubblica Popolare. Gli irregolari e i clandestini cinesi con decreto di espulsione rimangono sul nostro territorio.

Di fronte a scelte di politica estera che passano sopra la sua testa, Milone ha incrociato oltre un migliaio di dati fiscali, spulciando una dopo l'altra le richieste di mutuo immobiliare di cinesi che dichiaravano al fisco un reddito raramente superiore ai cinquemila euro l'anno. Gli stessi imprenditori cinesi che andavano in giro con Porche Cayenne e Audi A5. Spiega l'assessore: «È in corso un'inchiesta della Procura di Prato nei confronti di Banca Toscana, gruppo Montepaschi e Banca di Credito cooperativo di Carmignano, che avrebbero concesso mutui senza requisiti economici minimi per un centinaio di milioni».

Milone ha fatto di più, girando all'Agenzia delle Entrate 357 dossier qualificati, cioè già setacciati dalla polizia municipale, di cittadini cinesi che evadono sistematicamente tasse comunali, regionali e nazionali. Importo complessivo stimato per difetto: oltre un miliardo l'anno. «Il fisco ne ha controllati solo una cinquantina, ma era come essere soli davanti al portiere con la palla al piede», dice l'ex poliziotto affidandosi alla metafora calcistica.

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