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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2013 alle ore 17:21.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2013 alle ore 20:42.

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Tira una brutta aria per i fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ancora in attesa che si apra il processo a loro carico presso il tribunale speciale istituito a Nuova Delhi. Secondo la polizia investigativa anticrimine indiana (National Investigation Agency) che sta completando le indagini sulla vicenda che li vede coinvolti, i due marò a bordo della Enrica Lexie il 15 febbraio 2012 non utilizzarono altoparlanti per lanciare avvertimenti né spararono colpi in aria prima di uccidere due pescatori indiani a bordo del peschereccio St. Antony.

Lo ha rivelato nei giorni scorsi una fonte anonima del ministero dell'Interno indiano al quotidiano Hindustan Times, lo stesso che aveva pubblicato nei giorni precedenti la notizia della possibilità che i due militari italiani venissero condannati a morte. L'ipotesi venne poi respinta dal ministero degli Esteri indiano e dalla titolare della Farnesina, Emma Bonino ma le ultime rivelazioni sembrano indicare che la pena capitale sarebbe legata alla valutazione degli inquirenti circa la volontarietà e premeditazione dell'azione omicida nei confronti dei due pescatori. In base all'articolo 3 del SUA Act, la legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della Navigazione marittima, chi "causa la morte di una qualsiasi persona sarà punito con la morte".

La NIA ha suggerito al ministero dell'Interno di procedere all'incriminazione di Latorre e Girone in base proprio al SUA Act che si pone però in contrasto con le garanzie offerte da Nuova Delhi al governo italiano circa la non applicabilità della pena capitale. Le fonti dell'Hindustan Times provengono dalla NIA e dal ministero degli Interni da tempo impegnato in un braccio di ferro con gli Esteri, considerato troppo accomodante verso l'Italia circa la vicenda dei marò. Era stato il ministro degli Esteri Salman Kurshid a ipotizzare un breve processo e poi l'estradizione dei due militari italiani tenuto conto che il governo indiano si è impegnato a non applicare la pena capitale. I tempi però si sono allungati (l'avvio del processo non avverrà prima di gennaio, se tutto va bene) e la sua conclusione potrebbe non essere troppo morbida. A influenzare il dibattimento contribuisce anche la campagna elettorale indiana che vede i nazionalisti indù accusare il partito del Congresso di indulgenza nei confronti dell'Italia a causa delle origini italiane di Sonia Ghandi, leader del partito di governo.

Le affermazioni della fonte citata dall'Hindustan Times lasciano aperti molti dubbi circa l'obiettività della NIA nelle indagini. "Quando una imbarcazione sospetta si avvicina - ha dichiarato la fonte - dovrebbero essere utilizzati altoparlanti e sparati colpi di avvertimento. Ma in questo caso non sono state seguite le regole. C'erano undici pescatori sulla St. Antony quando i fucilieri di Marina italiani gli hanno sparato contro". Tuttavia, ha aggiunto, "solo due di essi - Ajesh Binki e Jelestine - sono stati colpiti mentre erano ai comandi del peschereccio. I rimanenti nove dormivano al momento in cui è avvenuto l'incidente". La fonte ha concluso che a suo avviso i due sono stati uccisi in una sorta di tiro al bersaglio, colpiti uno in fronte e l'altro al cuore, colpi che si sono rivelati istantaneamente letali".

Di fatto la Nia sembra aver accettato senza esitazioni la testimonianza dei pescatori del Saint Anthony che però dormivano e all'epoca dei fatti fornirono due versioni diverse prima di concordare di essere stati colpiti senza preavviso dal fuoco proveniente dalla Enrica Lexie. Nelle prime deposizioni alla polizia del Kerala avevano detto di non essersi accorti di nulla a causa del sonno e di non aver riconosciuto l'imbarcazione da dove proveniva il fuoco. Solo dopo l'arrivo in porto e il fermo della nave italiana "ricordarono" di aver visto chiaramente la scritta Enrica Lexie.

Se le indiscrezioni dell'Hindustan Times trovassero conferma significherebbe anche che le testimonianze dei marò (Latorre, Girone e gli altri 4 del team) e dell'equipaggio della Lexie che riferirono dell'applicazione piena delle regole d'ingaggio previste per far allontanare l'imbarcazione non sono state tenute in alcun conto dagli inquirenti indiani. Tra l'altro tutte le testimonianze italiane escludono che siano stati sparati proiettili contro il peschereccio evidenziando come l'imbarcazione abbia cambiato rotta dopo alcune raffiche esplose in mare dai marò.

Il vice comandante della Enrica Lexie, interrogato dal vice ispettore della Nia, P.V Vikraman, dichiarò addirittura di essere sicurissimo "che l'imbarcazione che ho visto dal ponte della nave non era il peschereccio St. Anthony" rinnovando l'ipotesi che quanto accaduto sul peschereccio non abbia alcuna attinenza con la vicenda della nave italiana. Le dichiarazioni rese dal persone italiano e dai marinai indiani della Lexie divergono. "Ho immediatamente fatto suonare la sirena antinebbia" ha dichiarato il capitano Umberto Vitelli ricostruendo le fasi di avvicinamento del peschereccio. "«Non sono stati suonati segnali d'allarme sonoro" lo ha smentito Kantamachu Thirumala Reo, marinaio indiano di guardia a bordo della petroliera.

Fonti della Nia hanno detto al giornale di "non avere avuto alcun aiuto dall'interrogatorio degli altri quattro marò" sentiti via videoconferenza dopo che l'Italia si era rifiutata di farli testimoniare in India. Forse per non esporli considerato che il rapporto stilato per la Marina dall'ammiraglio Alessandro Piroli ha rivelato che il 15 febbraio 2012 a sparare furono i fucili dei marò Renato Voglino e Massimo Andronico. Un aspetto mai chiarito che lascia aperto il dubbio che Latorre e Girone si siano assunti la responsabilità perché erano i più alti in grado del team.

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