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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:59.

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«L'Ucraina è un debitore affidabile, sta rispettando e rispetterà i propri impegni puntualmente»: al quarto giorno di mobilitazione per le strade di Kiev il ministro delle Finanze ucraino, Jurij Kolobov, ha risposto così ai mercati finanziari che di fronte alla nuova fase di incertezza sono tornati all'attacco della grivna e dei bond governativi ucraini, rievocando lo spettro di un default. I rendimenti sui titoli di Stato decennali sono saliti ai massimi da aprile, e il costo di assicurazione del debito sovrano da un default vede l'Ucraina al terzo posto come Paese più rischioso al mondo, dopo Argentina e Venezuela. Per difendere la grivna - agganciata al dollaro - la Banca centrale ha assottigliato le riserve in valuta, quasi dimezzandole nel giro di due anni a 18,8 miliardi di dollari. Ma su tutte spicca una cifra, al centro delle preoccupazioni del governo: i 17 miliardi in rimborsi sul debito e bollette del gas, dovuti dall'Ucraina nel 2014. A fronte di un deficit delle partite correnti a 15 miliardi.
È lo scenario in cui è costretto a muoversi Viktor Yanukovich, che proprio con queste cifre in mente ha barattato la firma con la Ue di un Accordo di associazione e libero scambio con un riavvicinamento all'orbita russa: non a caso, proprio ieri la compagnia energetica nazionale Naftogaz ha annunciato un'intesa con Gazprom, che avrebbe concesso una dilazione fino a primavera dei pagamenti dovuti a ottobre, novembre e dicembre. Se il monopolio russo confermerà, questo sarà un primo assaggio di quel "pronto soccorso" che Mosca è disposta a offrire, soprattutto se Yanukovich accetterà di entrare a far parte dell'Unione doganale tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia. Il confronto è con i vantaggi offerti dalla Ue, meno palpabili nel breve termine perché frutto di riforme più difficili. «Nessuno può fornire all'Ucraina i fondi di cui ha bisogno rapidamente come la Russia», ha detto nei giorni scorsi il vicepremier russo Igor Shuvalov, aggiungendo che gli aiuti sono naturalmente subordinati «a determinati impegni» dall'altra parte. La scelta di campo, agli occhi di Vladimir Putin, non prevede mezze misure.
Invece Yanukovich, nella sua corsa contro il tempo alla ricerca di un sostegno finanziario, ieri ha lasciato il Paese in subbuglio per volare in Cina, un viaggio di tre giorni in cui è prevista la firma di una ventina di accordi economici e commerciali. Quasi un tentativo di alzare la posta nel braccio di ferro tra russi ed europei, indicando loro una possibile fonte alternativa di crediti e investimenti. Yanukovich ha bisogno di trattare.
«Non è davvero un buon momento per andare all'estero», fa notare un analista politico ucraino, Gleb Vyshlinskij, citato dall'agenzia Reuters. Ma sulle prime ieri la partenza di Yanukovich ha avuto il conforto della sfida vinta contro l'opposizione alla Verkhovna Rada, il Parlamento di Kiev. Dove il premier Mykola Azarov ha invitato i deputati a non riportare il Paese a una seconda Rivoluzione arancione, e ha chiesto scusa per il brutale comportamento della polizia intervenuta con la forza sabato e domenica per disperdere i dimostranti accampati nella grande Piazza dell'Indipendenza. Siamo pronti al dialogo, ha detto Azarov, ma dovete liberare le strade.
E invece i leader dei principali partiti di opposizione, che alla Rada non sono riusciti a raccogliere i voti necessari a una mozione di sfiducia contro il governo, hanno riportato il confronto nelle vie, marciando alla testa di un corteo fino al Palazzo della presidenza. «Resteremo qui, pacificamente, finché il governo non si sarà dimesso», chiarisce il leader del partito di Yulia Tymoshenko, Arseniy Yatsenyuk.
Sarà la pressione della piazza o quella dei mercati a far piegare Yanukovich? Questa crisi mette alla prova un'economia fragile, il rallentamento del Pil che - oggi come ai tempi della Rivoluzione arancione del 2004 - segue il ritmo dei prezzi dell'acciaio, su cui poggiano le esportazioni. Acciaio poco redditizio ed energia a prezzi elevati sono la combinazione peggiore per il governo, su cui pesano i sussidi sul gas alle famiglie che a loro volta sono la ragione per cui il Fondo monetario internazionale ha bloccato un prestito da 15 miliardi di dollari nel 2011, insistendo sulla liberalizzazione dei prezzi del gas.
Gli analisti sembrano scommettere sul fatto che alla fine, da Mosca o dall'Occidente, qualcuno tenderà una mano. «Sto cercando di ricordare quando mai un Paese ha provocato una rivoluzione per un accordo commerciale», osserva Charles Robertson, chief economist per Renaissance Capital. Nel tentativo di tenere il piede in due scarpe, Azarov ha annunciato l'invio di una delegazione a Bruxelles, con il compito di trattare condizioni più favorevoli nell'Accordo di libero scambio. Nello stesso tempo un'altra missione andrà a Mosca, «per rafforzare la nostra partnership strategica con la Russia». Ai dimostranti che chiedono più Europa, e più democrazia, tutto questo basterà?
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