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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 06:43.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
La Francia ha deciso di riaprire alla grande il dossier africano, per cercare di seppellire il troppo lungo capitolo che va sotto il nome di "françafrique" (quello del neocolonialismo fatto di corruzione, clientelismi e imbarazzanti rapporti con le varie dittature). Approfittando del recente interventismo militare (in Costa d'Avorio, Libia, Mali e, nelle prossime ore, Repubblica Centrafricana), Parigi vuole rilanciare il proprio ruolo diplomatico, politico e in particolare economico nel continente.
Per dare visibilità a quest'ambizione, ha organizzato un vertice sulla pace e la sicurezza in Africa che si svolgerà domani e dopodomani all'Eliseo con la presenza di una quarantina di capi di Stato e di Governo. Preceduto, ieri, da un summit a Bercy il cui titolo dice molto: per un nuovo modello di partenariato economico tra l'Africa e la Francia. Al quale hanno partecipato 580 imprese delle due sponde del Mediterraneo e nel cui ambito è stato presentato un rapporto che il ministro Pierre Moscovici ha commissionato a un personaggio che l'Africa la conosce bene: Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri ma soprattutto consigliere diplomatico e segretario generale dell'Eliseo dell'era Mitterrand.
Bastano pochi numeri per capire quale sia l'urgenza di aprire una nuova fase nelle relazioni "bilaterali". Se la Francia rimane ancora il primo interlocutore in termini di stock d'investimenti e se riesce a resistere nei quattordici Paesi della "zona Cfa" (cioè quella del "franco africano"), con una quota di mercato del 17,2% rispetto al 17,7% della Cina, nell'Africa subsahariana c'è stato un vero crollo. Nonostante le esportazioni francesi siano raddoppiate, dai 7,7 miliardi di dollari del 2000 ai 17,5 miliardi del 2011, nello stesso periodo la quota di mercato è passata dal 10,1% al 4,7 per cento. Mentre quella di Pechino è salita dal 6% al 16,2 per cento.
L'altra faccia dell'Africa rispetto all'immagine di povertà, guerre e disperazione che troppo spesso prende il sopravvento nelle cronache dei giornali è quella di un continente - sia pure con fortissime disparità al suo interno - ricco di materie prime, con un tasso di crescita del 5% medio annuo negli ultimi dieci anni (5,6% nel 2013 e 6,1% stimato nel 2014, anche se il 72% del Pil globale è realizzato da otto Paesi), duemila società quotate, una classe media che secondo gli standard territoriali della Banca mondiale è fatta di oltre 300 milioni di persone.
L'altra faccia degli sbarchi quotidiani - sempre drammatici, spesso tragici - sulle coste del Sud Europa è quella di un continente in fase di forte sviluppo e di profonda trasformazione dove, non a caso, si sta svolgendo da anni uno scontro economico - e strategico - tra i Grandi del mondo. La Cina, certo, che ha ormai in Africa una "comunità" di poco meno di un milione di persone. Ma anche gli altri Briic, gli Stati Uniti, i principali Paesi europei. Basti dire che la quota del continente sugli investimenti esteri diretti globali è passata dall'1,2% del 2007 al 3,1% del 2012.
La Francia ha finalmente deciso che non vuole perdere questo treno e anzi provare a recuperare almeno parte del terreno perduto. Sfruttando alcuni vantaggi competitivi storici (sui 220 milioni di francofoni nel mondo circa 100 sono in Africa, 2,3 milioni di immigrati in Francia sono di origine africana, in Africa vivono 235mila francesi e la Francia rimane, di molto, la principale destinazione di studenti africani, oltre 112mila) ma anche di passare da una posizione di rendita - basata su una logica di posizioni acquisite - a una molto più proattiva e offensiva, per non dire aggressiva. Dalla cultura «dello stock», per dirla con Moscovici, a quella «dei flussi».
L'obiettivo del ministro è di raddoppiare in cinque anni il volume degli scambi, per riuscire a limitare il calo della quota di mercato al 3,5% nel 2020. Target che consentirebbe comunque di creare, o difendere, 200mila posti di lavoro in Francia. Per arrivarci, Védrine elenca 15 proposte: tra le più importanti una politica di concessione dei visti più flessibile e meccanismi di finanziamento che sostengano le Pmi e consentano di avere un ruolo di primo piano nei programmi d'investimento in infrastrutture (72 miliardi di dollari all'anno). Oltre alla creazione di una Fondazione mista pubblico-privata e franco-africana «per la crescita» annunciata ufficialmente dal presidente François Hollande.
«Bene - ha commentato nel suo applaudito intervento Ngozi Okonjo-Iweala, ministra delle Finanze nigeriana - ma se vogliono salire sulla nostra barca dello sviluppo, le imprese francesi devono darsi un po' più da fare».
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