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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 06:43.

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ROMA
Si rialza il sipario sul caso Stamina: per il Tar Lazio non è stata «garantita l'obiettività e l'imparzialità del giudizio» del comitato di esperti nominati dal ministero della Salute. Un comitato «prevenuto», che ha bocciato il metodo messo a punto dalla Stamina Foundation di Davide Vannoni (controverso, va ricordato, e contestato dalla comunità scientifica internazionale) senza analizzare le cartelle cliniche dei pazienti già trattati a Brescia. Non si salva il ministero della Salute, che non avrebbe condotto un'istruttoria adeguata prima di bloccare la sperimentazione.
Con una lunga ordinanza la sezione terza quater del Tar Lazio, depositata ieri, ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata da Stamina Foundation per il decreto di nomina del comitato scientifico e il parere negativo reso dagli esperti, fissando all'11 giugno l'udienza di merito. La ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha subito attivato le procedure per nominare una nuova commissione «perché ritengo – ha spiegato – che in questa vicenda non si possano lasciare i malati e le famiglie nel dubbio».
I giudici contestano in primis la composizione del comitato: i componenti Luca Pani, Alessandro Nanni Costa, Maria Grazia Roncarolo, Bruno Dallapiccola, Generoso Andria, Amedeo Santosuosso e Patrizia Popoli sono «professionisti che in passato, prima dell'inizio dei lavori, avevano espresso forti perplessità, o addirittura accese critiche, sull'efficacia scientifica del metodo Stamina». Manca dunque il requisito dell'indipendenza, inficiando l'intero percorso. È necessario, scrive il Tar, «che ai lavori partecipino esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione». Se non fosse possibile bisognerà chiamare «in pari misura» anche chi si è espresso in favore del metodo.
Non solo. Prima di bocciare il metodo perché non sicuro e potenzialmente pericoloso, gli esperti avrebbero dovuto esaminare le cartelle dei pazienti trattati presso gli Spedali Civili di Brescia che «dai certificati medici versati in atti non risultano aver subito effetti negativi collaterali». E ancora: il ministero si è «limitato» a prendere atto del parere negativo del comitato per decidere di fermare i test mentre «solo un'approfondita istruttoria» potrà convincere «anche i malati con patologie dall'esito certamente infausto, e che su tale metodo hanno riposto le ultime speranze, che il rimedio stesso non è, almeno allo stato, effettivamente praticabile».
Nell'ordinanza però si definisce «giusta» la preoccupazione del ministero e della comunità scientifica «che non siano autorizzate procedure che creino solo illusioni di guarigione» e «che si dimostrino invece nella pratica inutili o addirittura dannose». Ma per superarla serve un'istruttoria «a tal punto approfondita da non lasciare più margini di dubbio».
Tutto da rifare, dunque. Con Vannoni che dà dell'«incompetente» alla ministra e chiede «una sperimentazione seria e trasparente», i malati che esultano e la commissione Igiene e sanità del Senato che annuncia un'indagine conoscitiva. Tra gli scienziati regna l'amarezza. «Non si dica che il Tar ha dato ragione a Stamina perché non è vero», dice la senatrice a vita Elena Cattaneo: «La validità di un trattamento non si può valutare come se fosse un'opinione qualsiasi». Le fa eco il farmacologo Silvio Garattini: «Sarà difficile trovare esperti che non abbiano già espresso un parere contrario». Si rammarica l'oncologo Umberto Tirelli: «L'Italia non ha imparato la lezione Di Bella».
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