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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2013 alle ore 14:30.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2013 alle ore 17:06.

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(LaPresse)(LaPresse)

Due sono i dati da tenere sott'occhio in queste primarie dall'esito per il resto scontato, ossia l'incoronazione di Matteo Renzi a nuovo leader del Pd dopo la sconfitta (o non vittoria che dir si voglia) di Pier Luigi Bersani alle elezioni del febbraio scorso.

Il primo dato è l'affluenza, dal momento che lo stesso Renzi ha detto che al di sotto del milione e mezzo di votanti ai gazebo sarebbe un mezzo flop; il secondo dato è il combinato disposto della percentuale con cui Renzi uscirà vittorioso (dal momento che solo il 60% gli permetterebbe di contare su una maggioranza tutta sua nell'assemblea dei mille) e del posizionamento degli altri due candidati: se, come qualche segnale degli ultimi giorni suggerisce, Pippo Civati uscirà secondo davanti a Gianni Cuperlo, la sconfitta della vecchia guardia del Pd - ossia di quell'ala ex diessina che si riconosce in Massimo D'Alema e nell'ex segretario Bersani - sarà totale. Non solo. Un buon piazzamento di Civati, l'unico dei tre candidati che dice chiaramente che occorre mettere fine alle larghe o strette intese che siano e andare al voto subito dopo aver corretto il Porcellum, non sarebbe un buon segnale per il premier Enrico Letta e il suo governo.

Il sindaco di Firenze alla prova dell'affluenza, dunque. Nell'entourage del segretario in pectore si spera di raggiungere la soglia dei due milioni, contando anche sull'effetto trascinamento che può avere per il popolo dell'Ulivo la decisione di Romano Prodi di recarsi ai gazebo per difendere il bipolarismo dopo l'intervento della Consulta sul Porcellum, intervento che ha di fatto riconsegnato al Paese il proporzionale puro con preferenza della Prima Repubblica. Una leadership forte serve infatti a Renzi per avere più potere contrattuale all'interno del governo e imporre la "sua" agenda: una nuova legge elettorale schiettamente bipolarista, innanzitutto, e un taglio dei costi della politica che passi dall'abolizione del Senato e dalla riduzione del numero dei parlamentari.

Dal momento che il pacchetto minimo di riforme indicato da Renzi è lo stesso del premier Letta - appunto superamento del bicameralismo perfetto e nuova legge elettorale che garantisca la governabilità in un quadro bipolare - le strade dei due leader democratici sono destinate a incontrarsi e incrociarsi più di quanto essi stessi vogliano. Premier e segretario da domani saranno sulla stessa barca e dovranno remare insieme per non affondare. Con il pericoloso asse anti-istituzionale tra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo la collaborazione tra Letta e Renzi è obbligata, come auspica anche il Capo dello Stato. I due dovrebbero incontrarsi lunedì in vista del voto di fiducia di mercoledì in Parlamento e fissare una sorta di patto per tutto il 2014. Patto che sarà soprattutto sulle spalle del Pd, con tutti i rischi che questo comporta per il partito e per il suo nuovo leader in vista delle prossime elezioni politiche.

Il congelamento di fatto del quadro politico dopo la decisione della Consulta sul Porcellum (chi avrebbe interesse a far cadere il governo per andare a votare col proporzionale puro?) ha tolto a Renzi l'unica arma che aveva nella trattativa con l'altro partner politicamente forte della maggioranza, Angelino Alfano. Ammesso che ci abbia mai davvero pensato, ora il sindaco di Firenze non può neanche più minacciare il ritorno alle urne se non si fa come dice lui. Da qui l'importanza di una forte investitura popolare per imporre il più possibile l'agenda del Pd. Ma certo il rischio tenaglia c'è in ogni caso, e non è sottovalutato in ambiente renziano. Come dice Paolo Gentiloni, il Pd di Renzi rischia di trovarsi schiacciato nel sostegno obbligato a un governo che non è il "suo" governo, con Alfano che ne condiziona da dentro l'azione e l'inedito asse Berlusconi-Grillo che picchia da fuori toccando facili corte populiste.

Ma, appunto, la strada del sostegno al governo almeno finché il campo da gioco istituzionale non sarà ridisegnato – per usare un'espressione di Letta – è obbligata. Ed è su questa strada che il giovane sindaco di Firenze, che conquistando il partito ha vinto la sua prima grande battaglia contro il vecchio establishment, è atteso alla prova della maturità politica.

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