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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2013 alle ore 21:15.

«David e Patrizia sono meravigliosi», dicono i loro genitori adottivi italiani. Ogni sera chiedono «quando si va all'Italie» e David prende la valigia e si incammina a piedi, nella speranza di poter conoscere un giorno la sua nuova casa. Sono in tutto 26 le coppie italiane di genitori adottivi bloccate in Congo con i loro figli, in una situazione di emergenza estrema. «Siamo partiti dall'Italia a cavallo di ottobre e novembre - racconta uno dei papà - per conoscere, abbracciare e accompagnare a casa i nostri bambini, al termine di un lungo e laborioso iter adottivo, durato per alcuni di noi anche 5-6 anni. E ora siamo bloccati qui».
Le famiglie erano in procinto di partire, il 7 ottobre scorso, quando pochi giorni prima è stato comunicato loro ufficialmente lo stop all'uscita dei minori dalla Repubblica Democratica del Congo, operato dalla DGM (Direction General Migration), una sorta di polizia di dogana che emette i permessi per l'uscita dal Paese di tutti i cittadini congolesi. Ufficialmente la motivazione si riferiva ad irregolarità riscontrate in alcune procedure adottive di altri paesi quali USA e Canada, denunciando una vera e propria tratta di minori. La DGM, nelle vesti del suo Direttore Generale Francois Beya, ha ratificato questo blocco generale per tutti i minori per tutti i Paesi esteri, Italia compresa, nonostante nel nostro Paese esista tutta una complessa procedura adottiva e post-adottiva che rende pressoché impossibile qualsiasi "cessione" di minore. «È facile immaginare quale sia stato il nostro stato d'animo - aggiunge il padre adottivo -, bloccati alla vigilia della partenza per un periodo dichiarato dalla DGM di ben 12 mesi».
Fin dal 25 settembre, quando le famiglie hanno saputo della decisione della DGM congolese, subito si sono rivolte all'ente italiano CAI (Commissione per le Adozioni Internazionali) e dopo qualche settimana hanno ottenuto la possibilità di partire ugualmente per andare a conoscere i loro figli adottivi: dopo una iniziale resistenza da parte della Cai, che ha fatto desistere le famiglie, lo scorso 12 novembre hanno raggiunto Kinshasa per concludere l'iter adottivo, perché autorizzate dall'ente che ha seguito le loro procedure di adozione, in accordo con la Cai, e perché la Ministra Kyenge, in occasione della sua visita a Kinshasa nei giorni precedenti, aveva concordato per gli interessati la sospensione del blocco. Le azioni congiunte della Ministra Kyenge e degli altri enti italiani operanti nel settore (come I 5 Pani, NAA, NOVA, AiBi, Enzo B) in concerto con le organizzazioni di altri Paesi che adottano in Congo (Francia compresa) hanno fatto sì che la DGM rilasciasse una lista di coppie autorizzate all'ingresso e dei relativi bambini che avevano ultimato tutto l'iter adottivo entro la fatidica data del 25 settembre e che sarebbero stati quindi autorizzati a lasciare il Paese.
Questa lista è stata "affissa" presso la sede della DGM senza che ne venisse data una diffusione ufficiale (ad esempio tramite un invio alle ambasciate). Il 13 novembre le 26 famiglie italiane abbiamo raggiunto l'orfanotrofio dove vivono da qualche tempo i loro figli adottivi. Sono circa un centinaio solo in questo orfatrofio di Kinshasa i bambini in attesa di una famiglia. «Oggi viviamo in orfanatrofio - raccontano i genitori -, aiutiamo le suore alla gestione quotidiana dei bambini. La sera con i nostri piccoli andiamo a dormire in una casa poco lontano dall'orfanatrofio, che condividiamo con altre 5 famiglie: c'è la corrente elettrica ma manca l'acqua corrente e ci laviamo a "secchiate" di acqua piovana raccolta in cisterne. I bambini dormono con noi su gonfiabili a terra ed alcuni di noi sono costretti a dividere uno "stanzone" con altre famiglie. Altre coppie adottive italiane hanno altre sistemazioni a Kinshasa, magari più comode, ma non esenti da diversi disagi».
Il 18 novembre gli italiani hanno consegnato presso la sede della DGM i dossier dei loro casi, i nostri passaporti e quelli dei nostri bambini, dopo aver ottenuto il visto di ingresso per i bambini dall'ambasciata italiana. La DGM ha accettato la documentazione, ma ha comunicato che non ha intenzione di fornire i visti di uscita per i nostri figli almeno per i prossimi 12 mesi (la durata del blocco imposto) e che non vi è traccia degli accordi (a quanto pare solo verbali) presi con il Governo italiano. Nessuna traccia, infine, neanche della fantomatica "lista" di autorizzati.
Il ministro Kyenge è intervenuto oggi sul caso: «Dal mese di settembre - ha spiegato - da quando ci è stato comunicato il blocco, stiamo intervenendo con un lavoro molto forte di diplomazia ma anche di sostegno dei genitori che in questo momento sono bloccati nella Repubblica Democratica del Congo. Il mio ufficio - ha aggiunto - tutti i giorni telefona in Congo per conoscere lo stato dei genitori e dei bambini. Dall'altra parte, il lavoro diplomatico ha riportato indietro i primi sette genitori poche settimane dopo il blocco». Al momento, però, le famiglie rimaste bloccate in Congo vivono in situazioni difficili, con farmaci che mancano e acqua che latita. Attendono speranzosi che arrivino i permessi di uscita dal Paese per i loro bambini.
L'ambasciatore italiano a Kinshasa si è impegnato a percorrere tutte le strade diplomatiche per sostenere il rientro. La ministra Kyenge ha dichiarato alla stampa che si starebbe impegando in prima persona per lo sblocco della nostra situazione, «salvo poi inviare alle famiglie un comunicato in cui nega di aver incoraggiato la nostra partenza», ricordano le famiglie. Anche il ministro Emma Bonino, tramite il suo Gabinetto, ha comunicato che tiene costantemente e personalmente in osservazione la situazione dei 52 italiani bloccati in Repubblica Democratica del Congo con i propri figli, e che farà di tutto per permetterne il rientro in tempi brevi.
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