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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2013 alle ore 06:42.

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ROMA
Tempo e spazio sono le due incognite al centro dell'inquietudine del Viminale e dell'intelligence sulla protesta dei forconi. La rivolta può andare avanti ancora a lungo, benché ieri fosse considerata da diverse fonti «ridimensionata». Ma in questa vicenda ogni giorno ha la sua storia, nulla è certo. Nè prevedibile. Più di qualcuno, poi, ha ragione di temere che Torino, e Genova a seguire, faranno i conti con il brulicare nervoso dei cortei ancora per un pezzo. Il timore più intenso, però, è sull'effetto domino. Anzi, una sorta di infezione diffusa che si trasforma in un'epidemia incontrollata, dall'oggi al domani. E allora sarà allarme vero. Anche perché nessuno ora è in grado di pronosticare quanto la rivolta possa moltiplicarsi sul territorio italiano. «Non avremo remore a reprimere ogni minaccia e intimidazione che dovesse essere espressione di atteggiamenti delinquenziali» ribadisce il ministro dell'Interno, Angelino Alfano. Il prefetto Alessandro Pansa ha lanciato a pieni giri la macchina del dipartimento Ps e i questori sono allertati «H 24» come si dice in gergo. Non è detto che basti, però. I forconi sono una protesta sfuggente, multiforme, aleatoria e tuttavia minacciosa e offensiva, quando ci sono le condizioni. I loro cortei, per esempio, si dividono all'improvviso e mandano in tilt tutte le previsioni di ordine pubblico delle forze di polizia. Se poi la politica cavalca gli slogan dei facinorosi, come sta accadendo, l'effetto moltiplicazione è inevitabile: può dilagare. Oggi alla Camera riferisce Angelino Alfano mentre il Copasir sente il generale Arturo Esposito, direttore dell'Aisi. Proprio il ministro ha detto che ci sono «segnali chiari da parte dell'intelligence: non sto qui ad aggettivare le ali estreme di questo movimento, ma certamente abbiamo gli occhi su di loro e sapremo cosa fare se esagerano». C'è l'estrema destra di Casa Pound, di Forza Nuova, persino soggetti vicini a Stefano Delle Chiaie. Ma ci sono anche ultras e tifoserie violente, continguità della criminalità organizzata in Puglia e in Sicilia, in provincia di Catania. Le anime della protesta sono molte e ogni giorno ne nascono di nuove. La regìa unica o unitaria è esclusa. Ma ci sono i collanti, il carburante e i simboli che, una volta riconosciuti, scatenano le azioni. I «forconi», un tempo protesta tipica siciliana limitata finora all'isola, sono ormai un marchio pubblico con il copyright, un segno mille volte richiamato - e forse enfatizzato - dai media. Ma c'è anche la rabbia, che trova finalmente diritto ufficiale di espressione, e troppa ce n'è in giro. È sufficiente urlare la parola «basta» per raccogliere proseliti per strada, soprattutto nelle molte zone di sofferenza sociale disseminate per l'Italia. Sembrano osservazioni banali ma i responsabili della pubblica sicurezza sanno che si tratta di fuochi numerosi: nessuno o quasi con certezza di estinguersi subito, molti con alte probabilità di propagarsi. Le anime che soffiano sul fuoco della rivolta oggi sono forse una decina ma possono diventare il doppio, il triplo, il quadruplo. Non è neanche escluso che si scateni la reazione contro i forconi: dei commercianti, per esempio, in queste settimane di Natale cruciali per i loro conti quasi sempre devastati dalla crisi. Ed è un altro problema serio. L'ipotesi ventilata di arrivare a Roma, per ora, sembra infondata, e in ogni caso il prefetto e il questore sono pronti a fronteggiare la minaccia secondo le indicazioni di Alfano. Il pericolo vero, però, resta confinato in alcune città del Nord soprattutto. Fenomeni locali, ma non per questo meno rischiosi, anzi.
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