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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 11:49.
L'ultima modifica è del 15 dicembre 2013 alle ore 12:41.

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«La tesi populista che consiste nel pensare che uscendo dall'euro, un'economia nazionale beneficerebbe all'istante di una svalutazione competitiva come ai vecchi tempi non sta in piedi»: lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, in un'intervista al settimanale francese Le Journal du Dimanche. «Noi non ci sostituiremo ai governi - continua Draghi - se tutti cercano di svalutare la propria moneta, non se ne avvantaggia nessuno. In conclusione, la strada verso la prosperità passa sempre attraverso le riforme e la ricerca della produttività e dell'innovazione».

Al ritorno della crescita, contribuiscono «diversi fattori», secondo il presidente della Bce.
«La nostra politica monetaria - elenca Draghi - rimasta accomodante dal 2011», poi «gli impegni che abbiamo preso sul futuro orientamento della nostra politica monetaria e la nostra decisione di novembre di abbassare il principale tasso direttore, per la seconda volta, a 0,25%. Le incertezze arretrano, e ciò dovrebbe contribuire a rilanciare gli investimenti e incoraggiare le banche a fare prestiti. Anche il potere d'acquisto è migliorato sotto l'effetto di un calo dei prezzi dell'energia e dei prodotti alimentari».

«La crescita sta tornando - spiega Draghi - ma non è certo galoppante. È modesta, fragile e diseguale». Per il presidente della Bce, «la disoccupazione è sempre troppo alta ma sembra stabilizzarsi attorno a una media del 12%. L'anno prossimo, prevediamo un ritmo di crescita per la zona euro di 1,1% e dell'1,5% nel 2015. Le esportazioni riprendono - osserva Draghi - e, fatto nuovo, risalgono i consumi».

La Bce, ha proseguito l'ex governatore della Banca d'Italia, «non può ridurre il livello strutturale della disoccupazione, che dipende dal buon funzionamento del mercato del lavoro e dalla sua capacità di integrare meglio coloro che ne sono stati esclusi. La nostra missione principale - spiega Draghi - è di mantenere la stabilità dei prezzi. Nella misura in cui le nostre azioni stabilizzano l'economia, esse contribuiscono alla riduzione della disoccupazione».

Un aiuto deve arrivare anche dalle banche, che devono essere convinte «ad assumersi rischi utili all'economia, in particolare facendo prestiti alle piccole e medie imprese». Due anni fa, spiega Draghi, «abbiamo accordato alle banche 1.000 miliardi di euro sotto forma di prestiti triennali, che hanno già in parte rimborsato e da allora abbiamo ridotto diverse volte i nostri tassi di interesse direttori. Le banche hanno la possibilità di rifinanziare presso la Bce i prestiti che accordano alle imprese. Tutto questo ha restituito loro ossigeno. Talvolta hanno ricevuto aiuti e hanno potuto aumentare i fondi propri. Resta da convincerle ad assumere rischi utili all'economia, in particolare facendo prestiti alle PMI.
Bisogna ricordare - osserva ancora Draghi - che la domanda di credito è diminuita. Alcune imprese esitano ad investire di fronte a un calo delle vendite e a una mancanza di visibilità verso il futuro. E le grandi imprese si orientano sempre più verso i mercati per finanziarsi emettendo obbligazioni».

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