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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 08:47.

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«Le leggi della fisica devono essere dotate di bellezza matematica». Così ebbe a dire Paul Dirac; a chi gli chiedeva di riassumere in una frase la propria idea della fisica. Dirac, uno dei grandi della fisica del secolo scorso, premiato con il Nobel nel 1933 (insieme a Erwin Schrödinger) per «la scoperta di nuove forme della teoria atomica» aveva una concezione essenzialmente estetica, la definisce a ragione Vincenzo Barone, esemplificata in maniera paradigmatica dalla sua celebre equazione, che descrive il moto e le proprietà degli elettroni, compreso il loro momento rotatorio intrinseco, il cosiddetto spin, e soddisfa in massimo grado il criterio di bellezza che i fisici richiedono per le loro teorie, l'unità, la semplicità e la necessità. Si tratta di caratteristiche piuttosto vaghe, riconosce Barone, e tuttavia quell'equazione possiede un'altra caratteristica ben precisa e definibile, la simmetria relativistica. In generale, dice Barone, «una simmetria fisica è un'invarianza delle leggi fisiche rispetto a una certa classe di trasformazioni».
A prima vista, si tratta di una definizione piuttosto lontana dall'idea comune di simmetria, illustrata per esempio dalla simmetria destra/sinistra che caratterizza il nostro corpo e sta all'origine delle nostre osservazioni della simmetria. Basta guardarsi intorno, infatti, per scoprire ovunque simmetrie, negli oggetti della natura e negli artefatti umani, dalle stelle marine alle conchiglie, ai fiori, ai rosoni delle chiese romaniche, dagli archi dei portici alle arcate dei ponti. Nella parte introduttiva di questo bel libro Barone delinea il lungo processo che ha portato l'idea di simmetria ad affermarsi nel pensiero scientifico. Un'idea che ha lontane origini nell'antichità classica. Il termine greco stava a significare commensurabilità, e in questo senso compare in Aristotele e negli Elementi di Euclide: sono simmetriche, dice Euclide, grandezze «misurate con la stessa unità di misura», asimmetriche quelle che non hanno nessuna misura in comune. La simmetria, spiega Vitruvio nel De Architectura, «è l'accordo armonico tra le parti di una medesima opera e la rispondenza di proporzioni tra le singole parti e l'intera figura». Codificata da Vitruvio, è la concezione che si è imposta nei secoli, e ancora oggi lascia tracce nel linguaggio comune associata all'idea di armonia. Come Vitruvio, anche Copernico collega la simmetria all'armonia, rivendicando all'ordinamento del cosmo esposto nel suo De revolutionibus «un'ammirevole simmetria del mondo e un sicuro nesso armonico tra il movimento e la grandezza delle orbite quale non è possibile trovare altrimenti». Ed è ancora l'«armonia delle sfere» che si manifesta nella melodia degli astri a ispirare l'Harmonice mundi di Keplero. Nell'Ottocento, nella mente geniale di Evariste Galois la simmetria trova forma matematica nel concetto di gruppo, che nelle mani di Felix Klein si rivela strumento essenziale per considerare le diverse geometrie da un punto di vista unitario. Ma non solo. Come è già avvenuto in cristallografia, la potenza delle idee di Galois «si manifesterà ugualmente nella fisica matematica», auspica profeticamente Sophus Lie nel 1895 facendo eco a Pierre Curie, che in un celebre articolo aveva scritto: «Sarebbe di un certo interesse introdurre nello studio dei fenomeni fisici le considerazioni sulla simmetria familiari ai cristallografi». A determinare i fenomeni fisici non è la simmetria, aveva sottolineato Curie, ma la sua assenza, l'asimmetria, che egli chiamava la dissimmetria: «È la dissimmetria che crea il fenomeno».
E da considerazioni di asimmetria prende le mosse Einstein nel 1905 per formulare la relatività ristretta, osservando che l'elettrodinamica di Maxwell «conduce, nella sua applicazione a corpi in movimento, ad asimmetrie che non sembrano conformi ai fenomeni». Da qui, per Einstein, la necessità di postulare che per tutti i sistemi di riferimento per i quali valgono le leggi della meccanica valgano anche le leggi dell'elettrodinamica e dell'ottica. «Eleveremo questa congettura (il contenuto della quale sarà chiamato "principio di relatività") al rango di postulato», scrive Einstein. Combinando il postulato di invarianza della velocità della luce con il principio di relatività, commenta Barone, si possono infatti derivare le cosiddette trasformazioni di Lorentz fra i sistemi di riferimento inerziali che lasciano invariate le equazioni di Maxwell. La relatività ristretta è il primo passo verso la teoria generale della relatività, che Einstein formula nel 1916 sulla base di un principio di invarianza generale di coordinate che, «ha la peculiarità di essere una simmetria spazio-temporale locale», ossia una simmetria rispetto a trasformazioni dello spazio-tempo variabili da punto a punto. Insieme alla relatività generale, è la meccanica quantistica a segnare la nascita della fisica moderna negli anni Venti del secolo scorso. Nella meccanica quantistica, «le simmetrie hanno conseguenze di più ampia portata» afferma Barone, che dedica la gran parte del libro a giustificare questa affermazione. A cominciare dall'analisi dell'equazione di Dirac e dalla scoperta del positrone, il primo frammento dell'antimateria predetta da quell'equazione, fino alla recente scoperta del bosone di Higgs.
L'esposizione di Barone, ricca di spunti e osservazioni illuminanti, richiede tuttavia una certa familiarità con le moderne teorie fisiche per poter essere adeguatamente apprezzata. Così come la lettura della raccolta di scritti e conferenze di Dirac, curata dallo stesso Barone. «La teoria della relatività ha introdotto – in una misura che non ha precedenti – la bellezza matematica nella descrizione della natura», afferma Dirac: è stata la sua grande bellezza matematica a rendere la teoria di Einstein così accettabile per i fisici. Infatti, a suo avviso «il ricercatore, nel suo sforzo di esprimere matematicamente le leggi fondamentali della Natura, deve mirare soprattutto alla bellezza matematica». Ma «perché mai un elettrone dovrebbe preferire un'equazione bella a una brutta?» si è chiesto una volta Freeman Dyson. La risposta di Dirac è, in fondo, che «il matematico partecipa a un gioco di cui inventa le regole, mentre il fisico partecipa a un gioco le cui regole sono fornite dalla Natura, ma con il passare del tempo diventa sempre più evidente che le regole che il matematico trova interessanti sono le stesse che ha scelto la Natura». Comunque sia, certo è che Dirac «ancor più di Newton e di Einstein, usò il criterio di bellezza come un modo per trovare la verità», conclude Dyson. E gli scritti di questa raccolta ne danno una magnifica prova.

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