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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 08:49.

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Se il giovane Benito Mussolini fosse emigrato negli Stati Uniti, come aveva pensato di fare all'inizio del Novecento, mentre vagabondava fra Svizzera Liguria Trentino austriaco e Romagna, il suo destino e il destino di milioni di italiani e di europei sarebbe stato certamente diverso. Non possiamo dire se sarebbe stato diverso anche il destino di milioni di americani.
I "se" aiutano a comprendere le contingenze della storia, quando un singolo individuo, con le sue scelte, può imprimere una direzione al corso degli eventi, che senza di lui avrebbero seguito altro corso. All'inizio del Novecento, l'emigrazione di un giovane ventenne negli Stati Uniti era contingenza possibile, come lo fu per milioni di giovani italiani che traversarono l'Oceano. Fu invece una contingenza imprevedibile e imprevista l'improvvisa ascesa del giovane Benito sulla scena nazionale nel 1912, dopo il congresso del Partito socialista di Reggio Emilia, quando i rivoluzionari conquistarono la direzione del partito, detronizzando definitivamente i riformisti di Filippo Turati, uno dei principali fondatori del partito. La partecipazione del giovane Mussolini al congresso fu una rivelazione. Prima di allora, era quasi sconosciuto, anche se nelle varie località in cui aveva vissuto, in Italia e all'estero, si era fatto sempre notare per la sua attività di agitatore e di giornalista fautore di una rivoluzione violenta del proletariato per abbattere lo Stato borghese e realizzare il socialismo. Al congresso, fece subito impressione per l'originalità della sua oratoria concisa, secca e nervosa, con la quale sferrò un durissimo attacco contro i riformisti, reclamò e ottenne l'espulsione dei deputati che si erano compromessi con la monarchia, come Leonida Bissolati, che era stato il primo direttore dell'«Avanti!».
Benito aveva allora ventinove anni. Turati ne aveva 55, come Costantino Lazzari, il nuovo segretario nazionale: una generazione separava i maggiori fondatori e dirigenti socialisti dal giovane rivoluzionario, che conquistò la guida del partito con una inconciliabile diversità di mentalità, di cultura, di stile politico. La sua nomina a direttore dell'«Avanti!» chiuse definitivamente un'epoca del socialismo italiano. Fondato nel 1892 ispirandosi al marxismo, nei venti anni successivi il Partito socialista aveva organizzato con le sue lotte il proletariato operaio e contadino, e aveva ottenuto importanti successi politici, economici e sociali, adottando una condotta riformista che mirava a conquiste concrete all'interno dello Stato borghese, rinviando la rivoluzione a un imprecisato futuro. Invece il giovane Mussolini voleva un partito integralmente impegnato nella politica rivoluzionaria per abbattere con la violenza lo Stato borghese. A questo scopo, esigeva il primato politico del partito sulle organizzazione economiche del proletariato, concependo il partito stesso come un'avanguardia militante rigidamente disciplinata e intransigente.
Il giovane direttore dell'«Avanti!» fu subito circondato da un alone mitico. Con la sua personalità e la sua intransigenza affascinò le masse e i giovani socialisti, come Angelo Tasca, Amadeo Bordiga, e forse lo stesso Antonio Gramsci, i futuri fondatori del partito comunista, che nel 1913 videro in Mussolini il campione di un nuovo socialismo rivoluzionario. Affascinò anche intellettuali non socialisti, come Giuseppe Prezzolini e Gaetano Salvemini, che lottavano per una riforma radicale e una rigenerazione morale della politica nazionale.
Con il suo stile di scrittore e di oratore stringato e battagliero, Mussolini fece moltiplicare le vendite del giornale e gli iscritti al partito. Tuttavia, egli si sentiva spaesato nel suo partito, anche fra i rivoluzionari, perché, come confidò a Prezzolini, «la mia concezione religiosa del socialismo è molto lontana dal rivoluzionarismo filisteo di molti miei amici. ... Forse chiederò l'ospitalità della "Voce" per i miei tentativi di revisionismo in senso rivoluzionario ma ora no. Ho bisogno di orientare e precisare le mie idee».
Da questo bisogno nacque cento anni fa, nel novembre 1913, il periodico «Utopia. Rivista Quindicinale del Socialismo Rivoluzionario Italiano», fondato da Mussolini con lo scopo di elaborare «una revisione del socialismo in senso rivoluzionario», necessaria dopo il «fallimento del riformismo politico» e la «crisi dei sistemi filosofici positivistici», prevedendo un'imminente epoca catastrofica di sconvolgimenti sociali e di guerre, che avrebbero favorito la rivoluzione proletaria. Su «La Voce», Prezzolini annunciò la nascita di «Utopia» definendo il proposito mussoliniano di «far rivivere la coscienza teorica del socialismo», «un'impresa disperata ... superiore alle forze di Benito Mussolini che pur son tante. Quest'uomo è un uomo ... Una fibra intera che sa reggere obbiettivamente il giornale del partito, ma ha tanto bisogno di esser se stesso completamente per crearsi accanto un suo organo».
Stampata a Lugano, «Utopia» uscì saltuariamente e non ebbe successo, anche se vi collaborarono socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. Inoltre, la concezione mussoliniana del socialismo rivoluzionario era una miscela di idee derivate da Marx, Nietzsche, Pareto, Sorel, condite con idealismo, pragmatismo, volontarismo, e per questo estranea alla cultura evoluzionista e positivista del Partito socialista. Pur professandosi marxista, Mussolini si atteggiava a eretico, rivendicando libertà di pensiero e di ricerca, anche nei confronti del suo stesso partito, che gli pareva strumento non sufficiente per la sua ambizione, come confidava in quel periodo a un'amica: «Io devo diventare un uomo non comune! Lo sento. O un grande giornalista, o un grande musicista. ... Penso che diverrò un grande uomo politico».

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