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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2013 alle ore 06:40.

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La Sardegna con il 72% di medici in più della Lombardia in rapporto alla popolazione. Bolzano con il doppio dei dirigenti dell'Abruzzo sempre rispetto ai residenti. La Liguria con il 70% in più di personale sanitario non medico (infermieri, tecnici, ostetrici) della Campania. Ma anche la Sicilia che per i farmaci spende più del doppio di Bolzano. E Lombardia e Lazio che destinano ai privati accreditati un quarto della loro spesa sanitaria pubblica, oltre due volte i costi di un pacchetto di mischia come Toscana, Umbria, Emilia, Marche e Sardegna.
Benvenuti sull'ottovolante della spesa di Asl e ospedali, dove ogni regione fa da sé. In omaggio al federalismo e alle scelte locali, ma anche non raramente senza alcun motivo. Un pianeta, il Ssn, che varrà il prossimo anno 110 miliardi con 695mila dipendenti (dati 2011) e un giro d'affari che, grazie all'apporto della filiera della salute nel suo complesso, vale l'11,2 del Pil. Un volàno formidabile per l'economia nazionale grazie al contributo delle imprese. Ma anche, stando ai bilanci del Ssn, un potenziale imbuto di sprechi e uscite non sempre giustificate. Almeno 1,5 miliardi di sprechi, per esempio, si calcolano per le spese non sanitarie: lavanderie, mense, utenze telefoniche, gas, luce, acqua, pulizie, che valgono oltre 4 miliardi l'anno. Poco meno del costo dei ticket per gli italiani. Per non dire delle gare taroccate, degli acquisti fuori ordinanza, del coacervo di promozioni non dovute, di consulenze, attività intramoenia illegittime.
Tutte le onde anomale, insomma, di quel mare magnum dei conti di Asl e ospedali che non tornano mai. Soprattutto da Roma in giù. E sui quali – scommessa in tutti i sensi miliardaria – dovrebbe ora calare impietosa l'accetta dei costi standard e della spending review. «Mi accontenterei di risparmiare 15 miliardi in cinque anni e investirli sulla salute», sostiene il ministro Beatrice Lorenzin. Vedremo cosa farà Carlo Cottarelli, commissario alla spending. Certo è che i costi standard, perfino quelli per un 2013 ormai finito, sono appesi a un filo. In settimana i governatori tenteranno di trovare una quadra, altrimenti si sposterebbero 200-300 milioni che lascerebbe nell'imbarazzo un gruppetto di regioni, prime Liguria e Basilicata. E poi c'è la partita del benchmark da rifare per il 2014. Come dire: i costi standard, e i loro effetti, sono tutti da vedere alla prova. Anche se il primo risultato sarà di mettere spalle al muro le regioni canaglia. Già qualcosa, ma non i 30 miliardi di risparmi che vaticina il leghista Luca Zaia.
Costi standard difficili da mettere a fuoco, però, con le Regioni in ordine sparso sulle voci di spesa, dove ognuna fa da sé senza una base comune. E proprio la voce del personale è sintomatica, anche se rispetto al 2011, ultimo anno di cui sono disponibili i dati disaggregati, c'è in agguato l'effetto della legge 122/2010 di Tremonti-Brunetta, che ha previsto un salasso dal 2011 al 2013 e che ha come conseguenza, assieme ai blocchi del turn over, una riduzione media stimata già nel 2012 di almeno il 4% degli organici. Per il Ssn si dovrebbe tradurre in circa 18mila unità, di cui almeno 5mila medici.
Ma che le Regioni siano andate da sempre, e vadano tuttora, in ordine sparso è scontato. Certo, ognuna fa per sé, con proprie scelte politiche. A volte giustificate, altre no. Lombardia e Veneto, per esempio, dove più si indirizza la mobilità degli italiani in cerca di cure fuori casa, hanno meno personale medico, e non solo, ma ne avrebbero più bisogno. Il contrario della Calabria. O ancora: se la Toscana ha un'alta percentuale per abitante di personale sanitario non medico, dipende anche dal forte impulso dato alle cure fuori ospedale. Come non avviene in Campania, Calabria, Sicilia o Lazio, che hanno poco personale anche perché la scure dei piani di rientro sta riducendo all'osso organici e servizi.
Peccato che nelle regioni canaglia i conti non vadano bene e non tornino mai. E tra ticket e maxi-tasse, a pagare sono sempre gli stessi. Gli assistiti e i contribuenti onesti.
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