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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2013 alle ore 07:14.
La Nutella? Un esempio azzeccato di globalizzazione (golosa). A dirlo è l'Ocse in persona, nel recente report Mapping Global Value Chains di Koen Backer e Sébastien Mirodout. Secondo i ricercatori dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Nutella è un paradigma della catena di valore nell'agrifood.
La famosa crema di cacao e nocciole nata sulla base della Pasta Giandujot piemontese, prodotta ogni anno in 250mila tonnellate vendute in 75 Paesi, è una "multinazionale" alimentare con ingredienti che arrivano da Paesi sviluppati ed emergenti di almeno tre continenti. L'azienda tanto per cominciare come sappiamo è italiana, ma delle nove fabbriche cinque sono in Europa, una in Russia, una in Nordamerica, due in Sudamerica e una in Australia.
E gli ingredienti, miscelati in base a una ricetta segretissima conservata ad Alba esattamente come avviene per la Coca-Cola ad Atlanta? Solo alcuni, come il latte scremato (o i barattoli), vengono reperiti su scala locale. Gli altri vengono reperiti su scala globale: le nocciole arrivano dalla Turchia, l'olio di palma dalla Malesia, il cacao dalla Nigeria, lo zucchero sia dal Brasile che dall'Europa, la vanillina dalla Francia.
Gli impianti di produzione sono localizzati vicino ai mercati di sbocco dove la domande di Nutella è più alta, spiega il report dell'Ocse. Questo spiega perché non ci sono stabilimenti in Asia, dove stranamente la crema di gianduia non è molto apprezzata. In compenso in quelle zone vanno per la maggiore i Ferrero Rocher, il che spiega la presenza di una fabbrica dedicata a questo tipo di praline in India (e anche il tentativo di clonazione compiuto dai soliti cinesi, che dopo una sentenza della Suprema Corte di Pechino del 2008 hanno però dovuto battere in ritirata).
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