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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2013 alle ore 06:51.

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ROMA
Stop alla frammentazione e alla confusione degli ultimi anni: la competenza sull'attrazione degli investimenti esteri sarà esclusivamente di "Destinazione Italia", una divisione specializzata di Invitalia (Spa del ministero dell'Economia) che potrà anche attivare l'arbitraggio di Palazzo Chigi per sbloccare operazioni paralizzate dai veti locali.
Il piano del governo, rivisto alla luce della consultazione pubblica chiusa il 9 dicembre, fa definitivamente chiarezza. «Per la prima volta – spiega l'amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri – si stabilisce che gli investitori avranno un unico interlocutore, come avviene nei grandi Paesi nostri concorrenti». Non nascerà dunque una nuova Spa, come inizialmente ipotizzato, ma una semplice divisione che ingloberà anche i compiti e le risorse dedicate a questo tema del Desk Italia creato dal precedente governo e dell'Agenzia Ice per il commercio estero. «La struttura sarà snella, qualche decina di persone, incluse quelle che Invitalia già ha dedicato all'attrazione degli investimenti esteri. Sarà avviata anche una selezione». Arcuri è al lavoro sul business plan, da chiudere in poche settimane per cercare di rendere la struttura operativa già all'inizio del 2014. Da stabilire il budget, per il quale è possibile anche la definizione di un specifico Programma operativo nell'ambito della programmazione Ue 2014-2020.
Negli ultimi anni l'attrazione dei capitali stranieri è stata un esempio poco edificante di sovrapposizioni e scontri di potere. In campo c'erano Invitalia, il Desk Italia presso il ministero dello Sviluppo, l'Ice, il Comitato strategico per lo sviluppo degli interesse nazionali in economia (copresieduto da Esteri ed Economia). Senza contare le Regioni che si muovono in ordine sparso. «Non è più tempo di recriminazioni – chiosa Arcuri – ora c'è una governance molto chiara che dovrà produrre risultati migliori di quanto fatto finora. Solo se così non sarà, sarà giusto tornare a discuterne».
La divisione opererà in raccordo con Palazzo Chigi, Sviluppo ed Esteri, dovrà facilitare i rapporti con le varie amministrazioni, agenzie, enti centrali e locali e potrà attivare un meccanismo di arbitraggio presso la Presidenza del Consiglio. Se necessario, Palazzo Chigi potrà intervenire con diverse opzioni, compresi i poteri sostitutivi o il ricorso al Consiglio dei ministri per risolvere dissensi tra le amministrazioni. Ma oltre al lavoro di "accompagnamento", specifica Arcuri, ci sarà anche «l'elaborazione di pacchetti di investimento, che all'estero promuoveremo utilizzando la rete delle ambasciate, senza inutili duplicazioni». Nel portafoglio da presentare agli investitori «ci saranno immobili del Demanio, aziende del made in Italy da ricapitalizzare, aree e siti industriali in riconversione, aziende in crisi, parchi scientifici e incubatori dove accogliere imprese, progetti di insediamento greenfield e brownfield, brevetti, patrimonio culturale da valorizzare».
Il decreto varato venerdì scorso contiene un primo set di interventi per offrire agli investitori maggiori certezze sul fisco (ruling internazionale), sulla giustizia (tribunale delle imprese), sull'industria (credito d'imposta per le bonifiche). Misure che hanno ottenuto apprezzamenti anche dal Comitato investitori esteri Confindustria. «L'Italia si presenta troppo spesso come un Paese ad eccesso di burocrazia – commenta l'a.d. di Invitalia – ma la vera variabile per attrarre capitale è la certezza dei tempi, ancor più delle agevolazioni». Finora Invitalia ha lavorato sul fronte dell'attrazione attraverso lo strumento dei contratti di sviluppo al Sud: Rolls-Royce, Unilever e (appena approvato dal cda) Vodafone per un investimento di 49 milioni in Sicilia. La scelta definitiva di Palazzo Chigi sulla governance segna adesso il definitivo cambio di passo, per non perdere ancora terreno in una partita che ci vede al 15% del Pil come stock di investimenti esteri contro il 50% del Regno Unito, il 42% della Spagna, il 35% della Francia.
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