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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2013 alle ore 09:05.
L'ultima modifica è del 21 dicembre 2013 alle ore 10:15.

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Come rovinare una storia di successo economico sul Bosforo che dura da dieci anni. Potrebbe essere questo il titolo della vicenda che sta colpendo alle fondamenta il miracolo economico turco. Non a caso la lira turca, sismografo sensibile alla volatilità, è scesa al suo minimo storico venerdì 20 dicembre, dopo che la Federal Reserve Usa ha annunciato un ammorbidimento della politica monetaria espansiva (riducendo di dieci miliardi di dollari gli acquisti di bond) e mentre il governo di Recep Tayyip Erdogan si trova a dover fronteggiare uno dei maggiori scandali di corruzione, strettamente intrecciato alla politica, da quando è al potere dal 2001.

La situazione politica ed economica è molto critica sul Bosforo perché la Turchia si affida ai flussi di denaro stranieri per finanziare il suo ampio deficit delle partite correnti attualmente al 7,5% del Pil.

Il crollo della lira ha spinto la Banca centrale turca ad effettuare un massiccio intervento vendendo 400 milioni di dollari a sostegno della moneta. «In giorni in cui si registra un'eccessiva volatilità nei tassi di cambio, le vendite di valuta estera devono essere aumentate fino a 10 volte l'ammontare minimo annunciato, cioè fino a 550 milioni di dollari», ha comunicato sul suo sito internet la Banca centrale per giustificare la mossa difensiva. Il 10 giugno scorso la Banca centrale turca aveva venduto 650 milioni di dollari per fermare il calo della lira in seguito alle dura represseione delle proteste di Gezi Park.
Negli scambi di ieri un dollaro valeva 2,0980 lire, rispetto ai 2,071 di giovedì. Rispetto alla sterlina, la lira è calata a quota 2,86 a fronte dei 2,78 di giovedì.

Come dicevamo oltre alla grave crisi politica interna, l'economia turca sta subendo il contraccolpo dell'annuncio della Fed di una maggiore moderazione nella politica monetaria espansiva, il che vuol dire meno denaro nel sistema finanziario e quindi meno fondi per le economie emergenti. La Turchia è stata una delle maggiori beneficiarie dei programmi di stimolo Usa.

LO SCANDALO DI CORRUZIONE - E' la "mani pulite" turca scaturita martedì 17 dicembre sullo sfondo della faida interna scoppiata tra il movimento religioso di Fetullah Gulen e il premier Recep Tayyip Erdogan. Gli inquirenti di Istanbul e Ankara martedì hanno compiuto una maxioperazione all'alba, arrestando 37 persone per corruzione e turbativa d'asta, tra cui Suleyman Aslan, ceo della Halk Bank, una banca statale e i figli di tre ministri del governo turco di Erdogan. Si tratta di Baris Guler, figlio del ministro degli Interni Muammer Guler, Salih Kaan Caglayan, figlio del titolare dell'Economia Zafer Çaglayan, e di Abdullah Oguz Bayraktardek, figlio del ministro dell'Ambiente Erdogan Bayraktar, tutti e tre accusati di corruzione.

Ma non mancano altri nomi eccellenti tra gli arrestati, come quello del magnate delle costruzioni Ali Agaoglu, dell'imprenditore azero Reza Zarrab, del presidente del municipio di Fatih, nel centro di Istanbul, Mustafa Demir, oltre ad alti funzionari dei ministeri dell'Ambiente e dell'Economia.

L'operazione scaturirebbe da tre diverse inchieste ed è basata su operazioni di sorveglianza in corso da un anno, ma secondo i media turchi gli inquirenti avrebbero mosso accuse di riciclaggio di denaro, contrabbando di oro e corruzione.

In carcere sono finiti anche il direttore generale del ministero dell'Ambiente Mehmet Ali Kahraman, il consigliere del ministro Sadik Soylu, e gli assistenti di Çaglayan, Mustafa Behçet Kaynar e Onur Kaya. Gli arrestati sono accusati di aver versato e intascato tangenti e di aver consegnato permessi edilizi per aree protette in cambio di denaro.

LA RISPOSTA DI ERDOGAN - Il premier Erdogan ha risposto alla raffica di arresti che ha colpito figli di politici dell'Akp con un'epurazione ai vertici della polizia turca. Il governo di Ankara ha destituito i responsabili di altre 14 unità, hanno riferito le emittenti televisive Ntv e Cnn. È così salito a più di 20 il numero degli alti ufficiali estromessi, tra cui il generale Huseyin Capkin, comandante delle forze dell'ordine di Istanbul, a cui si aggiungono decine i poliziotti di rango inferiore. È la risposta a un'inchiesta che Erdogan ha denunciato come un «complotto politico». La vicenda è solo all'inizio in vista delle elezioni ammnistrative previste il 30 marzo, voto che rischia di trasformarsi – in un paese con 40 giornalisti in carcere – in un referendum sul premier Erdogan e la sua poltica giudicata eccessivamente autoritaria e filoislamica dall'opposzione.

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