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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 08:48.

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L'anno scorso «Nackte Männer» (Uomini nudi) al Leopold Museum di Vienna, adesso «Masculin/Masculin» nei grandi spazi espositivi del Museo d'Orsay. Due mostre provocatorie, come era inevitabile per il tema trattato, ma anche due straordinari successi di pubblico, soprattutto per quanto riguarda questa edizione parigina che poi con quella austriaca ha in comune poco più dell'argomento e della provocazione. Infatti delle duecentotrenta opere, dipinti, sculture, disegni, fotografie, presentate a Parigi solo otto erano già comparse nella rassegna precedente. Mentre ci saranno pochi cambiamenti quando, probabilmente ridimensionata, questa grande mostra salperà dalle rive della Senna per approdare a Città del Messico a dimostrare quanto il nudo maschile sia entrato a occupare nell'immaginario collettivo globalizzato una posizione ormai quasi paritaria con quello femminile. Comunque resta quel non sempre afferrabile crinale, spesso ipocrita, tra il terreno dell'arte dove tutto si riscatta in nome di una bellezza che è sempre morale e quello dell'erotismo, anche a rischio di pornografia, dove il desiderio rappresenta un elemento di turbamento e dunque di scandalo. Certamente, anche per esplicito intento del suo curatore, Guy Gogeval che è pure il vulcanico presidente del grande museo parigino, questa parata di nudi, davvero imponente per il numero e dobbiamo dirlo per la qualità spesso vertiginosa dei pezzi esposti, non vuole essere la scolastica rappresentazione dell'evoluzione nel corso di due secoli di un motivo che è sempre stato fondamentale, in ogni tempo e luogo, nella rappresentazione artistica.
Si tratta piuttosto di un'indagine trasversale, molto audace e sofisticata, rivolta a confrontare gli elementi estetici, connaturati alla lunga tradizione dell'idealizzazione del nudo, con le ineliminabili valenze sensuali che comporta l'immagine del corpo senza veli. L'erotismo destinato a riaffiorare in modo più o meno intenso nella rappresentazione della nudità virile sembra diventare più esplicito proprio entrando nella modernità e la mostra intende seguire questo processo legato anche alla presenza sempre più evidente, pure nel dominio dell'arte ufficiale, di pulsioni omosessuali più o meno latenti. Queste sono presenti non solo nelle opere degli artisti le cui tendenze sessuali erano orientate in quella direzione, ma anche in quelle che sono state reinterpretate in una chiave gay. È il caso di un tema come quello del corpo di San Sebastiano trafitto dalle frecce che, a partire dal Rinascimento, si è andato via via caricando di ambiguità. O di un quadro celebre qui esposto nella versione del 1791: il Sonno di Endimione di Girodet. Pur trattando un mito chiaramente eterosessuale, quello della dea Diana che nelle sembianze di un raggio di luna contempla il giovane di cui si è innamorata, è stato trasformato dalla sensibilità contemporanea in un simbolo di omossessualità proprio per la bellezza ambigua di quel corpo nudo e un po' efebico che sembra esposto ai raggi del desiderio.
Dopo il Rinascimento è stato proprio il Neoclassicismo a riportare al centro della rappresentazione artistica il nudo maschile visto come simbolo di perfezione e comunque come la via più diretta per raggiungere la bellezza ideale che si eleva al di sopra di ogni imperfezione della natura. Ma questa bellezza fisica diventa anche quella etica degli dei e degli eroi destinati a dominare il mondo e a elevare gli spiriti. Un famoso passo di Winckelmann, nei Pensieri sull'imitazione dell'arte greca (1755), potrebbe essere preso come il manifesto di questa mostra. «La scuola degli artisti – affermava – era nei ginnasi dove la gioventù, senza offendere la pubblica verecondia, faceva completamente nuda la ginnastica» e dove «il corpo nudo si mostrava in tante posizioni varie, naturali e nobili, quante non ne potrebbe mai assumere un modello delle nostre accademie». Questo antico e insieme moderno culto della nudità virile affiora nei corpi atletici ed eroici selezionati per la mostra che, ripresi in diverse attitudini, ci appaiono nelle sembianze più varie: dal Patroclo di David e dal Prometeo di Füssli ai tremendi angeli visti come demoni decaduti di Blake, Cabanel e Bouguereau; dall'inquietante Orfeo del neoclassico Guerin agli estenuati Giasone e San Sebastiano del simbolista Moreau, tutti eroi molto più certi della loro forza muscolare che del loro destino; dai superuomini michelangioleschi del magnifico Ruota della Fortuna del preraffaellita Burne-Jones ai sintetici Bagnanti di Cézanne. Sino ad approdare, dopo aver sostato davanti ai perplessi Adolescenti di Picasso, ai percorsi inquietanti dei Bagni misteriosi di De Chirico e all'accademismo concettuale della Mimesi di Paolini. Dopo le sezioni intitolate a «L'idéal classique», ai «Nus héroïques», il registro cambia in quelle dedicate alla «Nuda Veritas», a «Im Natur», «Dans la douleur» e, gran finale, «L'objet du desir». Tra le opere dei naturalisti, come Bazille presente con lo straordinario Pescatore, e quelle degli sperimentatori più tormentati tra i due secoli, come Minnie, Hodler, Munch, Schiele (molto ben rappresentato), Munch e Bacon si assiste alla negazione di ogni esaltazione muscolare e della perfezione anatomica per penetrare in un universo di lacerazioni, mutilazioni e deformazioni che mettono in definitiva crisi la concezione antropocentrica che aveva dominato nella fortezza, in realtà mai definitivamente espugnata, dell'accademismo. Questo riaffiora sempre più spavaldo e morboso, a fine Ottocento, in quella stralunata "scuola d'Atene" che è il gigantesco L'École de Platon di Delville, ripescato come molte altre opere dai giacimenti dello stesso d'Orsay, e negli anni Trenta del nuovo secolo negli atletici colossi marmorei collocati, grazie al contributo delle province italiane, nel percorso rituale del Foro Mussolini a Roma. Allora simbolo di italica virilità, oggi diventati gli ambigui campioni, magistralmente descritti da Alberto Arbasino e magnificamente fotografati da Patrick Sarfatti, di una cultura camp, di un immaginario popolare con cui questa imperdibile mostra ci invita a fare i conti, chiudendosi con la gioia provocatoria della fotografia dipinta Vive la France di Pierre et Gilles, dove appaiono in una sfrontata ripresa frontale i nudi in calzettoni, ma per il resto davvero senza veli, di tre spavaldi calciatori, uno di colore, l'altro arabo e il terzo bianco.

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