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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 14:39.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2013 alle ore 14:39.

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(Ap)(Ap)

«Non ho una spiegazione per tutto», dice Mikhail Khodorkovskij. E lui stesso ammette che i fatti degli ultimi giorni, che improvvisamente lo hanno portato da una colonia penale in Carelia a un albergo di Berlino, ricordano una spy-story.

La prima conferenza stampa del magnate russo del petrolio che ha pagato con dieci anni di reclusione la rivalità con Vladimir Putin è stata organizzata nel Museo del Muro di Berlino e del Checkpoint Charlie: «Qui la separazione del mondo è iniziata ed è finita», ricordano a Berlino. Ma la liberazione del prigioniero più famoso di Russia fa pensare di più alla caduta di quel muro, oppure riporta al presente quel posto di controllo sulla Friedrichstrasse, quelle sbarre che sono tornate ad alzarsi per far passare Khodorkovskij come negli scambi dei tempi della guerra fredda?

Davanti a una sala affollata all'inverosimile Khodorkovskij è emozionato, come se finalmente potesse mostrare sentimenti che per anni era riuscito a trattenere limitandosi a sorridere tranquillo, dalle gabbie dei processi. Del resto, nella conferenza stampa trema la voce perfino ai giornalisti che pongono le domande. Tornerò in Russia, se me lo permetteranno, dice Khodorkovskij mentre ricostruisce le circostanze che all'improvviso hanno cambiato la storia di un uomo che sembrava destinato a restare in carcere tutta la vita. Che cosa ha spinto Putin a cambiare idea? E come mai Khodorkovskij ha accettato di scrivere quella richiesta di perdono che dieci anni di carcere - due condanne per frode ed evasione fiscale - non erano bastati a fargli accettare? A che condizioni ha potuto lasciare la Russia?

Il punto di partenza è probabilmente la constatazione del presidente russo che concedere la grazia a Khodorkovskij gli avrebbe portato più vantaggi che guai, soprattutto ora che, alla vigilia delle Olimpiadi di Sochi, Putin è preoccupato di mostrare al mondo il proprio Paese nella miglior luce possibile. E l'oligarca, grazie anche alla mediazione tedesca, ha avvertito che si era aperta per lui una finestra che avrebbe potuto richiudersi presto: una richiesta di perdono, gli hanno assicurato gli avvocati, è possibile anche senza un'ammissione di colpa. E questo era il punto più importante per me, dice Khodorkovskij, preoccupato di proteggere i colleghi di Yukos che "non sono colpevoli di nulla", ripete: ammettere il reato li trasformerebbe in una banda di criminali.

Una riduzione della pena avrebbe consentito a Khodorkovskij di uscire dal carcere il prossimo agosto ma per lui - gli avevano fatto capire - era già pronto un terzo procedimento. Così, nella lettera scritta a Putin, Khodorkovskij ha fornito al capo del Cremlino gli elementi sufficienti ad assicurarlo che dopo il rilascio non gli avrebbe creato noie: non intendo occuparmi di politica, spiega di aver scritto, né combattere per riavere le proprietà della sua compagnia, Yukos, che quando venne spinta alla bancarotta nel 2005 aveva un valore di 15 miliardi di dollari. La malattia della madre Marina, in cura in un ospedale di Berlino, ha poi portato Khodorkovskij a richiedere in quella stessa lettera di poter lasciare il Paese: perfetto per Putin, che ha così potuto sottolineare le ragioni umanitarie della propria decisione allontanando il rivale in tutta fretta. Svegliato alle due di notte, Khodorkovskij ha solo avuto il tempo di raccogliere le proprie carte in due borse.

Vestito com'era è stato trasferito a San Pietroburgo e messo su un aereo con un passaporto emesso a velocità record, destinazione Germania. Non mi hanno costretto, spiega Khodokovskij, «ma è chiarissimo che il suggerimento era che io lasciassi la Russia». Nei giorni scorsi il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha chiarito che Khodorkovskij potrà tornare quando desidera: e lui spiega di voler avere l'assicurazione, per farlo, di essere libero di andare e venire, a seconda delle necessità della sua famiglia.

Gli chiedono se lui, a sua volta, intende perdonare Putin: «La metterei diversamente - risponde Khodokovskij - non penso che la vendetta sarebbe un comportamento razionale». Spiega di non volersi occupare di politica né di business, si scusa in continuazione perché in sole 36 ore di libertà non ha ancora avuto il tempo di raccogliere le idee. Ma ha un pensiero fisso: «Non consideratemi come l'ultimo prigioniero politico in Russia», è a quelli che sono rimasti che vuole dedicare il prorio futuro. Khodorkovskij ringrazia Angela Merkel e l'ex ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher. Gli chiedono anche se è favorevole a un boicottaggio delle Olimpiadi di Sochi: «Sochi è una festa per lo sport per milioni di persone - sorride - non bisogna rovinarla». Un primo favore a Putin.

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