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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 19:27.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2013 alle ore 19:41.

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Quasi 22mila consiglieri comunali e oltre 4mila assessori in più, ma senza spese aggiuntive. È il "regalo" che la riforma Delrio su Province e ordinamenti locali, nel testo approvato alla Camera nella notte fra sabato e domenica, fa ai Comuni fino a 10mila abitanti delle Regioni a Statuto ordinario. Un esercito di nuovi amministratori locali, arruolato però nel nome della «democrazia» e non della spesa pubblica, che non dovrà aumentare.

La regola rivede al rialzo i limiti numerici di Giunte e consigli che erano stati tagliati nella manovra-bis dell'agosto 2011, quando lo spread dei titoli di Stato volava alle stelle ma gli interventi sui costi della politica rimanevano rasoterra, concentrandosi solo sui piccoli Comuni. I nuovi limiti, che insieme alla riforma delle Province e all'istituzione delle Città metropolitane attendono ora l'approvazione del Senato, permettono ai Comuni fino a 3mila abitanti di avere consigli di 10 membri e giunte di due assessori (queste ultime erano state cancellate negli enti sotto ai mille abitanti), mentre quando i residenti sono più di 3mila ma meno di 10mila i consiglieri potranno salire a quota 12 e gli assessori a quattro. Per attuare questo ampliamento, però, i Comuni dovranno prima rivedere i costi di gettoni e indennità, redistribuendo sulla platea più ampia quello che oggi spendono per i loro organi attuali: se i revisori dei conti certificheranno l'invarianza di spesa, l'allargamento si potrà fare.

«Invertiamo la tendenza dopo anni di tagli alla democrazia spacciati per tagli ai costi della politica», esulta Mauro Guerra, il deputato del Pd che è anche coordinatore Anci per i piccoli Comuni. La norma sull'invarianza di spesa è stata l'arma decisiva per superare le obiezioni dell'Economia, e far inserire i nuovi limiti nel testo della riforma. Nell'intenzione dei fautori, l'aumento di "organico" in consigli e giunte dei piccoli Comuni serve a raddrizzare almeno in parte gli effetti degli attacchi ai «costi della politica», che almeno fino all'esplodere delle varie «Regionopoli» del 2012 sono stati inflessibili con i piccoli e spuntati con i grandi. In effetti, le manovre estive del 2011 avevano provato a tagliare anche i posti della politica regionale (un consigliere regionale costa circa come 1.200 consiglieri di un mini-comune), ma senza successo, al punto che il decreto sui «costi della politica» varato nell'ottobre 2012 dal Governo Monti sull'onda degli scandali ha riproposto alla lettera le norme del 2011: l'anno prima, infatti, i Governatori si erano limitati a ricorrere in Corte costituzionale, spuntando anche un successo nel caso delle Regioni a Statuto speciale.

La riforma Delrio approvata alla Camera introduce poi una novità destinata a interessare tutti i Comuni, che nelle Giunte dovranno garantite la massima parità possibile fra uomini e donne, prevedendo che nessuno dei due sessi occupi più del 60% dei posti. La novità, se sarà confermata anche da Palazzo Madama, si applicherà naturalmente con i nuovi mandati, ma sembra destinata a cambiare in fretta il panorama di genere della politica locale. In primavera andranno al voto oltre 4mila Comuni, cioè la metà dei municipi italiani, e per rispettare i nuovi parametri dovranno allontanarsi parecchio dalle abitudini seguite finora: oggi meno di un assessore su tre è donna, e la presenza femminile scende quando si sale nella scala gerarchica: le donne sono il 22% dei vicesindaci, e solo il 13,7% dei sindaci. Per modificare quest'ultimo dato, però, dovranno cambiare abitudini anche gli elettori.

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