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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 08:42.
Il day-after dell'assemblea Telecom dice che nulla potrà più essere come prima. Sicuramente dal lato della governance: si tornerà al voto ad aprile, ma non più col "porcellum". Non è plausibile che resti la governance attuale che assegna i quattro quinti dei posti in consiglio alla lista di maggioranza che, per definizione, non può che essere quella di Telco, dato che il resto dell'azionariato è sparpagliato tra gli investitori istituzionali e il maggior socio privato, Marco Fossati, ha solo il 5%.
Ma il punto è questo: Telco, che detiene il 22,4%, è una compagine dichiaratamente in scioglimento, essendo chiara la volontà dei soci italiani – Generali, Mediobanca e anche, forse con sfumature differenti, Intesa – di uscire dalla holding. Il socio che ha prenotato il controllo totalitario del veicolo di maggioranza relativa – ma che si è lasciato tutte le vie d'uscita per poter cambiare idea in corsa – è Telefonica, che ha il piccolo difetto di essere concorrente in Sud-America, sia in Argentina, sia in Brasile, che per Telecom è economicamente più rilevante. Area, quella dell'America latina, che, pur con i problemi dell'Argentina e il rallentamento del Brasile, è comunque un polmone di crescita per l'incumbent tricolore che in Italia è in difetto d'ossigeno.
L'assemblea di venerdì ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che il primo azionista di Telecom è il mercato: lo studio Trevisan, che tradizionalmente raccoglie le deleghe dei fondi, era presente con una quota superiore al 25%, di cui poco più dell'1% di fondi italiani e il resto di istituzionali esteri. Non si può non tenerne conto. L'esito dell'assemblea è stato il migliore possibile per trovare una soluzione. Il consiglio in carica non è stato azzerato per un pugno di voti e quel 4% del capitale istituzionale che ha appoggiato la linea della non revoca di Telco, l'ha fatto probabilmente per non trovarsi in una situazione del tutto ingestibile. Nelle condizioni attuali il board sarebbe stato infatti rinnovato senza un'adeguata informativa al mercato sui candidati, con due liste di minoranza che avrebbero potuto esprimere da un minimo di cinque a un massimo di nove consiglieri. Il resto dei consiglieri avrebbe dovuto essere nominato direttamente in assemblea, con la maggioranza semplice dei presenti. Ma, con l'elezione da codice civile Telco, come si è visto, non ha avuto nemmeno la forza di nominare i suoi due candidati, Angelo Tantazzi e Stefania Bariatti, da cooptare al posto di Franco Bernabè ed Elio Catania.
Essendosi dimessi anche Cesar Alierta e Julio Linares di Telefonica, il consiglio Telecom resterà così a 11 fino alla scadenza naturale di aprile, salvo che intervengano altri imprevisti. E il vice-presidente Aldo Minucci dovrà continuare a reggere l'interim. Il comitato nomine interno aveva prodotto un nome, quello di Massimo Tononi, la cui candidatura a questo punto è tramontata: avrebbe dovuto ricevere l'indicazione un triumvirato composto dal presidente di Mediobanca Renato Pagliaro, dall'indipendente Lucia Calvosa e da Linares, che però oggi non c'è più. Col fiato sul collo di Procura e Consob, non arriverà nessun presidente a fine mandato del cda.
A chi toccherà formulare la proposta per la nuova governance, che rispecchi al meglio la composizione dell'azionariato? Inevitabilmente all'ad Marco Patuano che, al termine dell'assemblea, ha assicurato l'impegno dell'azienda a «lavorare da subito affinchè il messaggio del mercato non cada nel vuoto». Anche perchè è opinione diffusa che comunque Telefonica porterà un'offerta per Tim Brasil e occorrerà un board veramente indipendente dagli spagnoli, e di conseguenza da Telco, per poter valutare con serenità se la proposta è nell'interesse dell'azienda oppure no.
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