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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2013 alle ore 09:02.

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Non c'è bisogno di alzare la voce per denunciare la normalità del ritardo italiano e aprire gli occhi a tutti su quella muraglia impenetrabile che si chiama burocrazia e nega la normalità dovuta a una terra di uomini e imprese «speciali».

La relazione di Giorgio Squinzi, all'assemblea di Confindustria, ha avuto il merito di non aggiungere rumore a rumore e di indicare in modo diretto, senza nessuna indulgenza alla polemica politica, l'urgenza delle cose da fare per garantire alle imprese quella sopravvivenza che coincide oggi con «la sopravvivenza del Paese stesso». Viviamo in un'Italia spaventata, dove furbizie, malaffare e nuove povertà si intrecciano in una spirale perversa. Un Paese che paga il conto degli eccessi della finanza speculativa anglosassone, avverte ogni giorno sui mercati il peso della fragilità europea e si ostina a non voler fare i conti con i suoi storici vizi, a partire da uno Stato ingombrante, pasticcione, incapace di onorare i suoi debiti e da un fisco esoso oltre ogni limite. Pochi esempi concreti sono sufficienti per capire esattamente di che cosa stiamo parlando.

Come è possibile che il rilascio di un'autorizzazione sia regolato da una legge statale, da almeno ventuno leggi regionali e da circa ottomila regolamenti comunali troppo spesso diversi uno dall'altro? È possibile, purtroppo, accade in Italia. Schiacciata come è da quella muraglia impenetrabile stratificatasi nei decenni e mai realmente scalfita e, cioè, una burocrazia che per i soli adempimenti ci costa 45 miliardi in più rispetto ai migliori esempi nel resto d'Europa. Accade in Italia, dunque. Lo stesso Paese dove una piccola impresa-tipo deve far fronte a un total tax rate inclusivo di tutte le tasse e i prelievi, compresi gli oneri sociali, pari al 68,5% contro il 52,8% in Svezia, il 46,7% in Germania, il 37,3% nel Regno Unito. La carenza e i costi del credito, in casa nostra, sono figli di tanti padri e di tante colpe, alcune delle quali sono estranee alle stesse banche italiane, ma ciò non toglie che la realtà pesa come un macigno e ogni sforzo deve essere diretto a riattivare prontamente i flussi e a restituire alle imprese la liquidità necessaria. Nessuno, a partire dalla Cassa Depositi e Prestiti, potrà sottrarsi. Che cosa dire del fatto che sempre in Italia l'energia elettrica costa stabilmente, da almeno dieci anni, il 30% in più rispetto alla media europea e il prezzo del gas naturale ha registrato un progressivo divario che si è acuito negli ultimi anni?

Sono questi elementi di fatto che ci restituiscono lo stato di famiglia di un Paese dove tanti, troppi fardelli, si scaricano quotidianamente sulla sua economia reale. Non c'è dubbio che il nostro futuro dipende (molto) dalla velocità con cui l'Europa completerà la sua integrazione politica e darà alla Bce mezzi e strumenti per usare fino in fondo la leva monetaria e garantire il risparmio europeo. La normalità ritrovata dell'Italia, però, dipenderà solo da noi e si misurerà con la capacita di compiere scelte scomode da parte di tutti. Le imprese dovranno essere trasparenti fino in fondo, dovranno impegnare capitali propri e "inseguire" con i loro prodotti il mondo che cresce.

Lo Stato dovrà onorare i suoi debiti e restituire, in tempo reale, ciò che deve, la congiuntura non consente tatticismi. Dovrà, allo stesso tempo, mettersi a dieta per tagliare la spesa pubblica e consentire di abbassare i prelievi fiscali e contributivi su aziende e lavoratori riducendo il divario competitivo (abnorme) tra l'Italia e il resto dell'Europa e del mondo. Le banche non dovranno far mancare il flusso del credito: guai se ciò avvenisse, potrebbero solo pentirsene. Senza un nuovo circolo virtuoso italiano non c'è nessuna speranza di ritrovare la normalità perduta.

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