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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2013 alle ore 08:41.

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Dopo undici anni di governo ininterrotto il premier turco Recep Tayyip Erdogan sta affrontando la più difficile delle sfide di fronte a un'inchiesta per corruzione che sta lambendo la sua famiglia, nella persona di suo figlio Bilal, e dove lo stesso primo ministro potrebbe venire travolto dagli scandali prima di poter realizzare la sua ambizione di correre per la presidenza nel 2014, per la prima volta a suffragio popolare diretto.
Forti le ripercussioni economiche provocate dal terremoto politico. La lira, sismografo dei mercati, è precipitata ai minimi storici a quota 2,1764 sul dollaro e a 3,0034 sull'euro mentre la Borsa di Istanbul è arretrata di oltre il 4,6%, al minimo da 17 mesi, dopo aver perso il 2,33% giovedì e il 4,2% mercoledì. Il quotidiano Hurriyet parla di «effetto bomba» dell'inchiesta sui mercati.
La forte svalutazione in atto della lira renderà più competitivi i prodotti turchi, ma farà aumentare il costo della bolletta energetica e delle materie prime destinate al Paese. La situazione si è fatta più delicata dopo che la Fed ha deciso di ridurre la sua politica monetaria accomodante di cui hanno beneficiato i mercati emergenti e soprattutto la Turchia. Ankara si affida ai flussi di denaro stranieri per finanziare il suo ampio deficit delle partite correnti, oggi al 7,5% del Pil. Basta un cambio di umore degli investitori stranieri e i rendimenti dei bond biennali, oggi già oltre il 10%, possono schizzare alle stelle. Ieri i Credit default swaps turchi, i contratti usati per assicurarsi dal default sovrano di un Paese, hanno toccato, secondo Markit, il livello massimo da 18 mesi a quota 253 punti base, oltre 30 bps in più dalla precedente chiusura.
In Turchia lo scontro «mi pare sia arrivato ad una fase tesissima» dove «la speranza è l'azione moderatrice, che ancora non si è espressa, che può giocare il presidente Abdullah Gul», previsto in visita a Roma a gennaio, ha detto, nel forum a Radio Radicale, il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino.
Già tre ministri (Interni, Economia e Edilizia) del governo Erdogan si sono dimessi perché coinvolti nell'inchiesta. Di fronte alle violente proteste di piazza che si susseguono in questi giorni a Istanbul ed Ankara e che chiedevano le sue dimissioni, il premier è stato poi costretto a un profondo rimpasto di governo, che ha portato alla sostituzione di dieci ministri, tutti suoi fedelissimi.
Sullo sfondo c'è la lotta tra Erdogan e l'ex alleato Fethullah Gulen, predicatore islamico che risiede negli Usa con un'enorme influenza in Turchia e molti seguaci in polizia e nella magistratura.
Il premier, subito dopo l'inizio dell'indagine, ha rimosso numerosi funzionari di polizia considerati vicini a Gulen, che vive in autoesilio negli Stati Uniti dal 1999. Ieri un altro colpo di scena ha visto protagonista il Consiglio di Stato, massimo tribunale amministrativo turco, che ha annullato un controverso decreto approvato in tutta fretta la settimana scorsa, a scandalo ormai esploso, che obbligava le forze di polizia a informare i superiori prima di eseguire perquisizioni e arresti su ordine della magistratura. Un chiaro attentato all'autonomia della magistratura ma che ha provocato ieri, in un discorso nella città di Sakarya, l'ira di Erdogan che ha parlato dell'indagine come «una aggressione» e «un ostacolo» per chi vuole «costruire una nuova Turchia».
Giovedì il procuratore capo Turan Colakkadi aveva rimosso da un filone d'inchiesta Muammer Akkas, un pubblico ministero, perché aveva parlato con la stampa senza avvertirlo. Secondo in quotidiano Taraf il filone d'inchiesta bloccato di Akkas riguarda irregolarità su commesse da 100 miliardi di dollari. Come contro le manifestazioni di protesta di Gezi Park di giugno, il premier turco ha reagito alla sfida con il pugno di ferro. Ma la sua posizione è complicata dalle crepe che si stanno aprendo nel partito di governo. Ieri si sono dimessi dall'Akp, l'ex ministro della Cultura Ertugrul Günay, il deputati di Smirne, Erdal Kalkan e quello di Ankara, Haluk Özdalga.
Nel braccio di ferro in corso i media filogovernativi hanno suggerito che l'indagine non serve ad altro che a preparare un nuovo colpo di Stato militare. Ma le forze armate, garanti della tradizione secolare della repubblica, hanno chiarito in un nota sul loro sito che non intendono farsi coinvolgere.
v.darold@ilsole24ore.com
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