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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2013 alle ore 08:52.

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La regina Elisabetta, o meglio la famiglia reale inglese, possiede qualcosa come 150.000 stampe e 40.000 tra disegni e acquerelli: un numero impressionante di fogli raccolti in oltre quattrocento anni e per lo più conservati nella Royal Library di Windsor Castle a Est di Londra. Da qui proviene lo strepitoso nucleo di disegni, acqueforti e monotipi di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto (Genova 1609- Mantova 1664) esposti fino al 16 marzo alla Queen's Gallery, l'ala di Buckingham Palace aperta al pubblico per esposizioni temporanee.
Con il titolo «Castiglione Lost Genius» l'americano Timothy J. Standring, Gates Foundation Curator of Painting and Sculpture del Denver Art Museum, e l'inglese Martin Clayton, capo del dipartimento Disegni e Stampe della Royal Collection, presentano una novantina di fogli mai esposti integralmente ai quali hanno dedicato cinque anni di studio attento e capillare. Mentre il mondo del collezionismo e la comunità scientifica degli storici dell'arte attende da tanto il catalogo ragionato del pittore genovese al quale Standring lavora da oltre trent'anni con frequenti sessioni di ricerca negli archivi di Genova, Roma e Mantova, il catalogo che accompagna la mostra londinese si configura come l'anticipazione di un capitolo di quel monumentale lavoro tanto atteso. Sì, perché pur provenendo da un'unica raccolta, il nucleo dei fogli castiglioneschi di Windsor è così importante e significativo da illustrare tutta la complessità e la varietà dell'opera grafica del Grechetto. Che è poi un aspetto importante della sua opera per capire la sua genialità e anche il successo che ebbe in vita come pittore, tanto da essere chiamato a corte dai Gonzaga di Mantova che lo vollero tutto per sé.
Il Grechetto è estroso e incredibilmente dotato quando inscena con veloci segni di matita rossa storie di viaggi e carovane bibliche popolate di figure, animali e oggetti di ogni sorta. Come nei suoi quadri, più in piccolo e ciò nonostante altrettanto capaci di immergere lo spettatore in un caleidoscopico mondo in movimento, questi disegni, che talvolta si accendono di colori per leggeri tocchi di acquerello, hanno un sapore più pittorico che strettamente grafico.
Ciò vale anche per i monotipi. Se ne vedono a Londra ben cinque esemplari, l'ultimo datato 1660. Pezzi unici e non multipli, e dunque molto rari a incontrarsi, sono eseguiti con una tecnica di cui il Grechetto è ritenuto l'inventore, insieme forse al belga Anthonius Sallaert che vi si cimentava in quegli stessi anni, con esiti non così sublimi. La tecnica del monotipo riflette la speciale foga di sperimentatore del Grechetto che lo portò poi, con l'incisione, a essere additato come uno dei grandi maestri di tutti i tempi, al pari di Dürer e Rembrandt.
Le molte acqueforti che nelle eleganti sale della Queen's Gallery si alternano ai disegni e ai monotipi, evitando quell'effetto di serialità un po' pedante che talvolta si percepisce nelle mostre di sola grafica, svelano il Castiglione più diligente e attento. Bizzarro com'era questo artista, non sono quelle le doti che gli sono proprie. Nella dedizione estrema alla tecnica dell'incisione, dalla metà degli anni Quaranta, vediamo un artista insolitamente vigile e rigoroso. Quando scalfisce col bulino la cera nei cui solchi l'acquaforte sarebbe colata per incidere la lastra, con l'esito di fogli i cui tratti sottili come schegge sono di un virtuosismo che pochi altri maestri hanno saputo raggiungere. Nella difficile tecnica incisoria è il suo genio a sfidare la materia. A misurarsi con il buio per creare la luce, proprio come nei monotipi sono eseguiti "a risparmio", togliendo il nero dell'inchiostro per lasciare una traccia chiara sul foglio. Gli effetti luministici delle sue incisioni lo avvicinano davvero tanto alle acqueforti di Rembrandt, da lui studiate e prese a modello come questa selezione di opere precisamente dimostra. Basti osservare la serie con le Teste di orientali che paiono desunte da prototipi dell'olandese. E in parte è così. Ma poi, non può sfuggire a un osservatore attento la capacità del Grechetto di renderle personali le espressioni, così da trasformare anche quei "tipi", in persone, secondo una sensibilità più italiana e pienamente barocca.
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