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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2013 alle ore 08:47.

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Un lungo viaggio nel tempo e nella memoria, per raccontare la storia dei 90 anni di vita del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'istituzione scientifica più autorevole e prestigiosa del nostro Paese. Nelle pagine di questo bel catalogo, curato da Raffaella Simili, quella storia scorre sotto i nostri occhi, illustrata da rare immagini e foto d'archivio a segnarne le tappe nel corso del tempo. Il catalogo si apre con uno sguardo alla vita scientifica e culturale del Paese nel primo decennio del secolo scorso: in un clima di ottimismo e di positiva fiducia nel progresso, l'anno 1906, che ha visto l'esposizione internazionale a Milano e la fondazione del nuovo Politecnico di Torino, si chiude con l'attribuzione del Nobel per la letteratura a Giosuè Carducci e quello per la Medicina a Camillo Golgi. «Concorrere allo sviluppo di un Paese moderno, nella direzione già seguita dalle nazioni europee più evolute» è l'obiettivo che Vito Volterra, senatore del regno e matematico di indiscusso prestigio internazionale, pone alla Società Italiana per il Progresso delle Scienze da lui fondata nel 1907 con il concorso di scienziati, industriali come Giovan Battista Pirelli, e uomini del mondo della finanza come Bonaldo Stringer, il direttore della Banca d'Italia.
La Società sancisce l'affermazione del «sentimento scientifico, che ormai pervade ogni manifestazione di vita sociale», dichiara Volterra nel discorso inaugurale, che Federigo Enriques diffonde dalle pagine della nuova «Rivista di scienza» (poi «Scientia») da lui fondata quello stesso anno. Come il precedente, anche il 1907 si chiude con un premio Nobel a un italiano. Stavolta a Ernesto Teodoro Moneta, Nobel per la pace, mentre due anni più tardi il Nobel per la fisica premia il genio inventivo di Guglielmo Marconi. I due presidenti dei primi anni di vita del Cnr, Volterra e Marconi, si affacciano da protagonisti sulla scena scientifica internazionale ben prima della Grande Guerra, che li vede entrambi tra i volontari. Se l'ottimistica fiducia nell'internazionalismo scientifico è destinata a esser sepolta sotto le macerie della guerra, dalla cooperazione in campo tecnico-scientifico tra le potenze dell'Intesa, alimentata dal conflitto, trae origine il primo nucleo del futuro Cnr. Si tratta dell'Ufficio invenzioni e ricerche, istituito presso il ministero della Guerra nel 1917 per iniziativa di Volterra. Ed è lo stesso Volterra a rappresentare il nostro Paese nelle trattative tra gli alleati che, due anni dopo, portano alla creazione dell'International Research Council con sede a Bruxelles e rappresentanze nei diversi Stati. Finalmente, un regio decreto del 18 novembre 1923 istituisce il Cnr come Ente morale, che «trova la propria legittimazione soprattutto nel ruolo di rappresentanza della comunità scientifica italiana presso l'International Research Council», di cui Volterra è vice-presidente.
«A tali compiti istituzionali – commentano Raffaella Simili e Giovanni Paoloni – è strettamente legato il modesto bilancio che il governo assegna al Cnr, e che rimarrà sostanzialmente immutato durante tutta la presidenza Volterra, iniziata nel gennaio 1924». Del gruppo dirigente del Cnr fa parte anche Bonaldo Stringher, che Volterra ha voluto con sé come amministratore, dopo l'esperienza della Società per il Progresso delle Scienze. La nuova istituzione, che trova sede presso l'Accademia dei Lincei, di cui Volterra è presidente, non ha tuttavia vita facile. Anche il progetto di un grande laboratorio nazionale, da istituirsi col patrocinio del Cnr, per sopperire alla cronica penuria di mezzi dei laboratori universitari e coordinare le attività degli istituti di ricerca con le realtà industriali, negli ambienti accademici va incontro a difficoltà insormontabili. Lo stesso Volterra si avvia a esser emarginato per le sue aperte prese di posizione contro il fascismo.
Dopo un decreto di riordino in senso autoritario del Cnr, firmato dal re nel marzo, il primo settembre 1927 Marconi viene chiamato a succedere a Volterra alla testa di un Direttorio di nuova nomina. Come sottolineano Paoloni e Simili, Marconi non solo ha prestigio scientifico indiscusso ma, ciò che più importa al regime, «è persona vicina e grata al governo». Alla nomina alla presidenza del Cnr farà seguito infatti la presidenza della mussoliniana Accademia d'Italia nel 1930 e poi dell'Enciclopedia Italiana, nel 1934. Al Cnr di Marconi, che prende progressivamente le distanze dall'International Research Council (il definitivo distacco avverrà nel 1932) il duce affida il compito di "fascistizzare" la scienza: «Il Consiglio deve essere un organismo all'unisono con la vita della nazione», dichiara Mussolini. Deve dunque farsi carico del governo della ricerca, e dei suoi rapporti con l'industria e le forze armate nella cornice dello Stato corporativo che, dopo la guerra d'Etiopia, si traduce nella politica dell'autarchia. E non è un caso che, dopo l'improvvisa morte di Marconi nel 1937, alla guida del Cnr venga nominato il maresciallo Pietro Badoglio, che di quella guerra è stato il campione. Ma ormai la Seconda guerra mondiale è alle porte, e con essa la fine di quella stagione del Cnr.
Con l'arrivo degli alleati a Roma nel giugno 1944, il Cnr viene posto sotto la guida di un commissario straordinario, il grande matematico Guido Castelnuovo, che le leggi razziali del 1938 avevano espulso dall'Accademia dei Lincei e nei mesi dell'occupazione tedesca aveva vissuto nella capitale nascosto sotto falso nome. Alla fine dell'anno, alla guida di un rinnovato Cnr venne chiamato Gustavo Colonnetti, uno studioso di scienza delle costruzioni, costretto all'esilio dal regime fascista, che restò alla presidenza nel primo, cruciale, decennio del dopoguerra, quando il Cnr «fece da culla alla rinascita del sistema italiano della ricerca». Una svolta nella storia più recente fu data dalla legge del 1962 che attribuiva al Cnr un ruolo centrale nell'organizzazione della ricerca scientifica. Ma gli anni Sessanta dovevano essere segnati da due profonde crisi nei rapporti fra politica e sistema della ricerca coi due celebri "casi" legati ai nomi di Felice Ippolito e Domenico Marotta, che – insieme alle vicende dell'industria italiana d'avanguardia (e il caso dell'Olivetti è emblematico) – si possono leggere come l'inizio del lungo declino scientifico e industriale del nostro Paese. All'interno del Cnr ne seguì allora una situazione di sostanziale paralisi protrattasi per oltre un decennio, prima di una ridefinizione del ruolo dell'ente nei vari settori della ricerca, bene illustrata nelle pagine di questo libro. Ma qui la storia cede ormai il passo all'attualità.

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