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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2013 alle ore 08:47.

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Coraggiosa e dunque benvenuta, l'idea di Francesca Borrelli di raccogliere il suo limpido pensare in psicoanalisi attorno al tema freudiano del disagio nella civiltà («nella», come traduce Einaudi, più fedele all'originale; «della», secondo la più nota versione Boringhieri). Ne esce un volume che guardiamo con speranza, eppure in qualche modo rassegnati perché già conosciamo la pessimistica conclusione freudiana: il disagio è intrinseco alla civiltà. Scritto nel 1929 e pubblicato nel 1930, Das Unbehagen in der Kultur affronta, partendo da una prospettiva storico-sociale, la tensione tra individuo e civiltà, libertà istintuale e responsabilità sociale, appagamento e sublimazione, violazione e legge. Una tensione, dice Freud, necessaria alla civiltà, ma inevitabilmente destinata a infliggerci frustrazioni e senso di colpa. La civiltà vigila sull'Eros e sulle insidie di Thanatos, il Super-io sull'Es, la convivenza civile si fonda sull'inibizione del principio del piacere. Conclusioni che verranno contestate da Marcuse (più volte citato nel volume curato da Borrelli, anche in analogia alla critica di Foucault a Chomsky sul concetto di «natura umana»). E poi «sfidate» dalla mole di ricerche che indica tra le motivazioni primarie che governano le relazioni infantili anche l'attaccamento e la spinta alla socievolezza. A dire insomma che la convivenza umana non è solo figlia del Super-io.
Sulle grandi spalle dell'eredità freudiana, Borrelli (esemplare il suo saggio introduttivo) guarda ai nostri giorni e riflette su mondo psichico e fenomeni sociali: quale e quanta «mutazione antropologica», riprendendo l'espressione pasoliniana («gli italiani non sono più quelli», scriveva il poeta) è in atto? E giustamente indica «nella mediazione simbolica tra tecnologia e psiche» uno dei nodi cruciali di tale mutazione. Con domande magistrali Borrelli individua e interroga i disagi della nostra civiltà dialogando con un filosofo (Massimo De Carolis) e due psicoanalisti (Francesco Napolitano e Massimo Recalcati). Impossibile tentare di restituire in poche righe il respiro tematico di un volume che si propone di decifrare le (nuove) sofferenze mentali a partire dagli intrecci tra politica, società, psiche e costituzione biologica. Si tratta come avrete capito di un dialogo a più voci sulla natura umana: impresa prometeica che Borrelli riesce a contenere entro i limiti di un dibattito colto e in equilibrio tra teorie ed esperienze.
Ci si interroga sull'uomo (e la donna) di oggi, che Recalcati preferisce definire «ipermoderno», alludendo «a un'esasperazione interna della modernità», rispetto a «postmoderno», termine che «accentua una differenza per discontinuità, un oltrepassamento dell'orizzonte della modernità». Utile il richiamo al protagonista di Shame, il film di Steve McQueen che ritrae impietosamente il disagio ipermoderno, dove la vergogna prevale sulla colpa, caratteristica invece di quell'uomo freudiano sofferente di un conflitto tra istanze a cui lo psicologo Heinz Kohut solo quarant'anni fa contrapponeva l'uomo tragico e le sue strutture deficitarie. È nell'attitudine dissociativa che De Carolis indica il tratto dominante delle psicopatologie contemporanee: «in uno stesso soggetto convivono comportamenti, attitudini, segmenti di personalità del tutto incompatibili, che però si succedono e si affiancano senza vero conflitto: ignorandosi, oscurandosi a vicenda, benché nessun segmento venga davvero rimosso e confinato nell'inconscio». Mettendo l'accento sulle patologie da dipendenze (alcol, farmaci, droghe e persone), Recalcati si sofferma sulla loro funzione di saturare il vuoto depressivo, di riempire la voragine melanconica con additivi pseudo-terapeutici.
Le riflessioni nei campi della "psicopatologia", della "diagnosi", della "farmacoterapia", spingono gli autori a riconsiderare alcuni momenti cruciali della clinica contemporanea. Per esempio il destino della diagnosi di «personalità borderline», termine giustiziato da Borrelli perché «di genericità al limite dell'insignificanza» (una posizione a cui approdano, da ben altri percorsi, cioè quelli della ricerca empirica, anche i sistemi diagnostici più interessanti degli ultimi anni, come il Manuale Diagnostico Psicodinamico - PDM). Napolitano è ancora più tranchant e si domanda se «il nome borderline battezza qualcosa o il nulla» e si risponde «il nulla. È una griffe che viola tanto la logica quanto la teoria psicoanalitica». Trascurando però, nella disapprovazione, che l'«epidemia diagnostica» borderline (termine peraltro introdotto da uno psicoanalista, Adolf Stern, che, nel 1938, si interrogava clinicamente sul confine tra nevrosi e psicosi) ha avuto il merito di portare alla luce il mondo sommerso (anche dalla psicoanalisi) delle esperienze traumatiche precoci e degli abusi. Libro di studio e di pensiero, giustamente preoccupato e preoccupante, forse eccessivamente monofonico. Leggendolo può capitare il desiderio di una voce outsider: di neuroscienze, per esempio, o di cognitivismo illuminato, di psicoanalisi relazionale o di queerness butleriana. Ma, in ogni caso, è libro vivente.
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Francesca Borrelli, Massimo De Carolis, Francesco Napolitano, Massimo Recalcati. Nuovi disagi della civiltà, a cura di Francesca Borrelli, Einaudi, Torino, pagg. XLVI+202, €9,99

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