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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2013 alle ore 13:07.
L'ultima modifica è del 30 dicembre 2013 alle ore 13:28.

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Dici Michael Schumacher e pensi a uno dei più grandi piloti di sempre della Formula Uno. Un talento, il suo, ricco di sfumature da fuoriclasse e di primati che resisteranno a lungo nella storia di questo sport. Era un missile, Schumacher. Con il volante tra le mani era capace di firmare numeri da mettere i brividi a molti suoi colleghi. Correva come un demonio, sgomitando e scalciando non appena ne aveva l'occasione. Perché il suo obiettivo non era vincere, bensì conquistare. Dominare, sempre e comunque, anche quando aveva già in tasca gara e titolo. Più o meno come ha preso a fare da qualche tempo il suo erede più accreditato, il connazionale Sebastian Vettel.

Provare per credere: se durante una gara ti capitava di vedere Schumi nello specchietto retrovisore erano guai da non dormire la notte per giorni. L'ex ferrarista puntava la sua preda con il piglio della pantera. Attendeva il momento giusto per sferrare l'attacco decisivo, muovendosi con balzi precisi e studiati in anni di caccia grossa. Poi, premeva sull'acceleratore e indovinava traiettorie che sfuggono all'umana comprensione. Un morso di Schumi e adios, arrivederci, bye bye. Lo squalo di Kerpen non faceva prigionieri.

Schumacher, ufficiale e gentiluomo. Detto che soltanto ai grandissimi spettano gloria e trionfo incondizionati dopo anni di successi e di consensi - perché chi vince spesso passa per antipatico e poco importa se sorride alle telecamere, l'invidia e la paura fanno più vittime degli uragani – va detto che il pilota tedesco ha sempre goduto di un rispetto fuori dall'ordinario fuori e dentro le piste della F1. La ragione è presto detta: Schumi vinceva e costruiva prodigi senza spingere troppo a fondo il pedale del destino. Sia chiaro, in gara era un satanasso. Basta dare un'occhiata alle immagini che girano in rete e che raccontano di una carriera spesa a guardare tutti dall'alto per capire che quando si trattava di fare sul serio lui, il sette volte campione del mondo, rispondeva sempre presente.

Tuttavia, il confine tra gli applausi per l'intuizione che risolve un sorpasso e lo stupore per un tentativo al limite dell'improbabile è questione di sfumature. Qualcuno direbbe, di attimi. Di momenti che decidono un gran premio ma anche e soprattutto di più. Perché a 300 Km/h è sufficiente uno sbuffo per volare sui prati e sbattere il muso contro le protezioni. Ecco, Schumacher è diventato fenomeno senza chiedere troppo alla sorte. Arrivava fino a un certo punto, poi mollava. Il pericolo è il mestiere degli uomini poveri di talento. E lui, Michael, di talento ne aveva così tanto da trasformarlo in leggenda.

Schumacher ama la velocità, sentire sulla pelle la forza del vento che ti penetra fino alle ossa e più giù, fino all'anima. Dai kart alla Formula 1, per poi tornare alla passione originaria e mettere in fila piloti e pilotini che erano poco più grandi dei suoi figli. Quando sei vittima consapevole di un tachimetro, hai due possibilità: sottostare all'impeto e alla furia di una gara con te stesso prima che con gli altri, oppure addomesticare i pedali alle tue necessità, con la saggezza di chi sa che c'è sempre qualcosa da perdere. Bene, alzi la mano chi ricorda il pilota tedesco superare il limite del possibile per raggiungere il traguardo prima di un avversario. Per dirla meglio: Schumacher non avrebbe mai potuto fare il Grosjean dei tempi che furono.

Prima di frequentare per mesi uno psicologo, il pilota francese della Lotus era solito compiere mirabilia da ritiro della patente immediato. Partenze a razzo, sorpassi da "tenetevi forte, io sono il numero uno" e via di questo passo. Se parlavi di lui ai suoi colleghi, era un via vai di amuleti contro la sfortuna che nemmeno a Napoli alla vigilia delle partite degli azzurri di Benitez. Schumacher no, è spesso stato considerato da chi lo conosceva da vicino come un temerario con il vizio della prudenza. Schumacher, per intenderci, non avrebbe mai fatto un fuoripista sulla neve portandosi dietro il figlio. Perché è una persona intelligente, Michael, e avveduta. E' stato vittima di un incidente come ne capitano purtroppo tanti in alta montagna. Indossava anche il casco, giusto per non lasciare alcunché al caso. Poi, il destino. Che a volte lascia senza parole per la difficoltà a interpretare alcuni suoi percorsi. Schumacher ha pilotato missili in F1 anche quando la sicurezza in gara rappresentava ancora una variabile tutt'altro che prevedibile. Ne è sempre uscito benissimo e pure di più. Ieri ha deciso di andare a sciare con la famiglia e ha incontrato la tragedia. L'uomo è nato per tradire il proprio destino, scrisse Paulo Coelho. Michael, in un modo o nell'altro, ce la farà.

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