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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2014 alle ore 06:47.

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Laura Serafini
ROMA
Ancora una volta sono arrivati in extremis i decreti interministeriali che approvano gli aumenti dei pedaggi in vigore dal primo gennaio. I ministri per le Infrastrutture e per l'Economia li hanno firmati il 31 gennaio; gli incrementi sono stati comunicati nella serata dell'ultimo dell'anno lasciando fino all'ultimo nell'incertezza gli automobilisti in movimento per le vacanze. L'adeguamento medio è uguale allo scorso anno e pari al 3,9% (come anticipato dal Sole 24 Ore del 28 dicembre), ma le percentuali variano a seconda delle tratte da un minimo (se si fa eccezione per le concessionarie che non hanno avuto adeguamenti) del + 0,82% della Ativa (Autostrada Torino-Valle d'Aosta) al +8,28 per dell'Autostrada dei Parchi, dal 2011 controllata da Totoholding. Ma i rincari avrebbero dovuto essere ben maggiori: l'aumento medio richiesto dalle concessionarie era pari al 4,8%, con picchi vicini al 13% per le Autovie Venete e al 14% per Rav (raccordo autostradale valdostano) e punte fino al 18%, come rivelato ieri dal ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi. La prospettiva di dover autorizzare aumenti così consistenti in una fase di crisi - in cui già il rialzo dell'Iva e del peso dell'imposizione fiscale sui cittadini - ha messo in allarme l'esecutivo che negli ultimi giorni ha deciso di intervenire per cercare di calmierare gli aumenti. Una scelta che ha innescato un braccio di ferro e una trattativa serrata fino alle ultime ore dell'anno con le concessionarie autostradali, con varie ipotesi di mediazione sul tappeto. Alla fine si è arrivati al compromesso di introdurre un tetto progressivo ai rincari, e cioè variabile a seconda delle concessionarie (e del tipo di investimenti in cui sono impegnate che vanno remunerato con le tariffe) dal 5 al 9 per cento.
La soluzione del problema, però, è solo rinviata. I ministeri interessati e le concessionarie hanno concordato di rimandare a un secondo momento la definizione delle modalità con cui recuperare i mancati adeguamenti. Il punto di equilibrio andrà trovato entro il 30 giugno 2014, data ultima entro la quale deve essere approvato l'aggiornamento quinquennale dei piani finanziari delle concessionarie. Le ipotesi sul tappeto sono varie: tra queste la prospettiva di prolungare la durata delle concessioni per spalmare nel tempo gli adeguamenti (ma osteggiata dal ministero dell'Economia) oppure la trasformazione dei mancati rincari in poste figurative da cumulare fino alla scadenza della concessione con una garanzia della Cassa depositi e prestiti per il pagamento del mancato introito al momento del subentro di un nuovo concessionario.
Comunque vada a finire, resta il fatto che ancora una volta il governo di turno si riduce all'ultimo momento per frenare rincari dei pedaggi legittimati dai contratti firmati dall'esecutivo stesso (o dai governi precedenti) con le varie concessionarie. Con il risultato che, comunque, quello che non viene pagato oggi dal cittadino è solo rinviato e verrà riscosso più avanti (quando fa meno notizia).
«La riduzione stabilita - spiega una nota diffusa il 31 dal ministero per le Infrastrutture - determina un risparmio per l'utenza quantificabile in circa 50 milioni di euro annui». Ieri il ministro Lupi si è detto soddisfatto per il risultato ottenuto. «Siamo riusciti a contenere gli aumenti delle tariffe autostradali grazie a un'azione di calmieraggio svolta del ministero - ha detto -. A fronte di richieste che per alcune tratte arrivavano al 18 per cento, l'incremento si è fermato a una media del 3,9 per cento». Meno soddisfatti sono gli utenti, a partire dagli autotrasportatori. Se si continuano ad aumentare i pedaggi «non ci si potrà lamentare se i forconi del 9 dicembre scorso saranno nuovamente inforcati» ha scritto in una lettera aperta al premier la presidente della Cna-Fita, Cinzia Franchini.
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