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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2014 alle ore 06:43.

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FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Il terzo Governo di Angela Merkel, insediato subito prima di Natale dopo tre mesi di estenuante negoziato, ha messo nelle mani del leader socialdemocratico e nuovo partner di coalizione del cancelliere, Sigmar Gabriel, la peggior patata bollente del 2014. La riforma della politica energetica, varata dieci anni fa per promuovere la transizione verso le fonti rinnovabili, si è dimostrata finora un problema intrattabile: la cosiddetta Energiewende ha scontentato tutti, dalla famiglie, che nel corso degli ultimi dieci anni hanno visto raddoppiare il costo dell'elettricità per megawatt-ora, il più alto in Europa dopo la Danimarca, secondo dati di Moody's, ai produttori di energia, gravemente penalizzati dalla rinuncia al nucleare entro il 2022, decisa due anni fa dopo il disastro di Fukushima.
La nuova coalizione fra democristiani e socialdemocratici ha promesso di presentare un progetto di riforma entro Pasqua e convertirlo in legge entro l'estate. Il compito tocca a Gabriel, che ha chiesto per sé, nella nuova compagine di Governo, di sommare i dicasteri dell'Economia e dell'Energia. Il programma concordato dai partiti della maggioranza offre solo vaghe indicazioni, pur riaffermando l'obiettivo di generare da fonti rinnovabili fra il 40 e il 45% di tutta l'energia entro il 2025 e fra il 55 e il 60 entro il 2035. I segnali emersi finora sono stati però sufficienti a sollevare le proteste dell'industria, in larga misura esentata, nell'attuale assetto, dai sussidi alle rinnovabili. L'eliminazione di almeno parte delle esenzioni, che sono finite nel mirino della Commissione europea per violazione della concorrenza, danneggerebbe soprattutto le piccole e medie industrie. «L'aumento dei costi - ha detto in una nota la Bdi, la confindustria tedesca - minaccia la struttura dell'industria nazionale». Con tanti interessi contrastanti - l'elettorato, l'industria, i produttori, la Commissione - la quadratura del cerchio non si rivelerà facile e sarà il primo test della coalizione di Berlino e della capacità di Gabriel di prendere decisioni esecutive, accreditandosi come potenziale successore di Angela Merkel.
L'altro pilastro del programma di grande coalizione che dovrà essere messo in atto nel 2014 e che costituiva l'elemento portante della piattaforma socialdemocratica - l'introduzione del salario minimo e la parziale controriforma del mercato del lavoro - è anch'esso affidato a un'esponente della Spd, Andrea Nahles, coadiuvata dalla principale sorpresa nella composizione del Governo, Joerg Asmussen, "rimpatriato" dal consiglio della Bce e anche lui alla ricerca di un ruolo di primo piano nella politica nazionale. È il punto più criticato del programma di Governo e molti osservatori indipedenti sono convinti che produrrà gravi danni alla competitività dell'industria tedesca, che è stato il fattore trainante della ripresa di questi anni. Una «marcia indietro», lo definisce David Folkerts-Landau, il capo economista di Deutsche Bank, che stima in una perdita fra 450mila e un milione di posti di lavoro le sue possibili conseguenze. In genere, le politiche annunciate dal terzo Governo Merkel, soprattutto in materia di energia e lavoro, vengono viste come una zavorra per l'economia tedesca non tanto per l'anno che si apre, ma per le loro conseguenze di lungo termine. Lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è apparso critico in un'intervista al Sole 24 Ore dell'8 dicembre scorso.
Per il momento, le prospettive dell'economia e del mercato del lavoro sembrano promettenti. L'ufficio nazionale di statistica ha diffuso proprio ieri le cifre sull'occupazione che, a 41,8 milioni di unità, è aumentata nel 2013 dello 0,6% rispetto al 2012, il settimo incremento consecutivo e un livello record dal dopoguerra. La disoccupazione è a 2,28 milioni, -1,6% rispetto a fine 2012, al 5,2%. I miglioramenti sono in frenata rispetto agli anni scorsi e molti economisti ritengono che le riforme annunciate possano invertire la tendenza.
Per ora, comunque, l'occupazione e la crescita dei salari rappresentano uno dei motivi per ritenere che nell'anno appena iniziato l'economia possa accelerare il passo. Nelle sue previsioni semestrali la Bundesbank indica una crescita dell'1,7% nel 2014 e del 2% nel 2015, al di sopra del potenziale, contro lo 0,5% del 2013. Nel corso dell'inverno, la ripresa dovrebbe decollare, secondo la Banca centrale, dopo una crescita dello 0,3% nel terzo trimestre dell'anno. L'indice Pmi del settore manifatturiero elaborato dalla scoetà Markit per il mese di dicembre, pubblicato ieri, è al 54,3 (contro il 54,2 di novembre; un dato sopra 50 indica un'espansione dell'attività), il livello più alto dal luglio del 2011. La Vdma, la principale associazione dell'industria meccanica, vera spina dorsale dell'economia, stima che dopo un calo dell'1% nel 2013, la produzione vedrà un aumento del 3% nel 2014, ma il suo presidente, Reinhold Festge, teme che il programma di Governo non dia «un chiaro segnale di più investimento e più crescita» e osserva soprattutto le conseguenze sulle imprese associate della crisi dell'eurozona.
Sull'Europa, sostiene Folkerts-Landau, di Deutsche Bank, la Germania manca di visione strategica. Un'incertezza che rischia di aggravarsi con le elezioni europee della prossima primavera. Sono queste, più dei dubbi sulla tenuta della grande coalizione, il vero banco di prova della politica tedesca nel 2014 e avranno un impatto sulle scelte europee e quelle interne di Berlino, soprattutto se dovessero registrare un successo degli anti-euro di Alternative für Deutschland. Il nuovo partito ha fallito per un soffio la soglia del 5% per l'ingresso al Bundestag nel voto delle politiche del settembre scorso, ma una sua affermazione alle europee, che consenta ad AfD di inviare alcuni deputati al Parlamento di Strasburgo, può condizionare la maggioranza al Bundestag più di quanto dica il margine amplissimo a favore della grande coalizione. Sta anzi già spostando su posizioni più euroscettiche la bavarese Csu. Le attese europee di una Germania pronta a concessioni sono destinate ad andare deluse.

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