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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2014 alle ore 06:48.

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Le notizie di una imminente e sensibile ripresa dell'export libico, assieme al rallentamento della crescita economica cinese (e quindi a una frenata nei consumi del Paese asiatico), hanno favorito un generalizzato indebolimento dei prezzi del greggio. Ieri infatti durante la seduta il petrolio Brent è tornato ampiamente sotto la soglia dei 109 dollari al barile (circa 2 dollari in meno della giornata precedente); ribassi analoghi per il greggio di riferimento Usa, il West Texas, che è arrivato a cedere quasi due dollari e scendere sotto quota 96,5.
I mercati si stanno infatti preparando ad accogliere il greggio libico. Tripoli sta accelerando sulle estrazioni in molti giacimenti locali – primo tra tutti quello di El Sharara – che sono rimasti quasi inattivi da fine ottobre a causa di scioperi e agitazioni. Basti pensare che attualmente il Paese produce circa 250mila barili al giorno, contro gli 1,4 milioni di luglio. Analisti della svizzera Petromatrix ritengono che a breve l'output del Paese possa salire fino a 600mila bg.
Ieri comunque l'attenzione del mercato è stata catalizzata da altre due notizie. La prima è giunta dalla Russia, dove la produzione di petrolio nel 2013 è aumentata dell'1% a 523,3 milioni di tonnellate, raggiungendo il livello più alto dalla crollo dell'Urss. Secondo un rapporto del Dipartimento dell'Energia, la produzione ha raggiunto una media di 10,51 milioni di barili al giorno, battendo il record del 2012 di 10,35 mbg. In aumento anche la produzione di gas naturale russo cresciuta del 2,1% a 668 miliardi di metri cubi. Da notare che tra i grandi produttori russi, Gazprom ha accusato un rallentamento dell'output, sceso per il secondo anno consecutivo a 476,1 miliardi di metri cubi nel 2013, contro i 478,8 miliardi di metri cubi nel 2012; un calo legato soprattutto al crollo delle vendite in Europa. Da ricordare che il petrolio e il gas rappresentano quasi la metà delle entrate del bilancio federale russo.
Sempre dal lato dell'offerta, dal Medio Oriente infine è rimbalzata la notizia secondo cui le prime forniture di greggio dal Nord Iraq sono già state stoccate nel terminal turco di Ceyhan e ora si attende il permesso delle autorità di Baghdad per sdoganare la via delle esportazioni e fare partire i carichi. È quanto ha dichiarato ieri il ministro dell'Energia turco Taner Yildiz, confermando sia l'avvio a dicembre del flusso nell'oleodotto Kirkuk-Yumurtalik, sia l'assenza per ora del nulla osta del governo centrale iracheno, che non apprezza i progetti di cooperazione energetica tra la Turchia e il Kurdistan iracheno.
«È iniziato l'invio di greggio dall'Iraq settentrionale e il petrolio viene stoccato in serbatoi. Spero che questo petrolio sarà esportato sui mercati mondiali dopo avere ottenuto un completo benestare» delle autorità centrali irachene, ha detto il ministro Yildiz durante una conferenza stampa.
Il governo di Baghdad e l'amministrazione autonoma curda nel Nord iracheno sono in polemica sulle modalità di condivisione – e quindi di vendita – delle vaste risorse energetiche della regione curda. La Turchia, che ha scarse risorse, dipende da Russia e Iran e sta cercando forniture più economiche dal confinante Kurdistan iracheno. Dai porti turchi, poi, il greggio curdo potrebbe essere esportato verso altri Paesi, come ha lasciato chiaramente intendere oggi Yilsiz.
L'oledotto Kirkuk-Yumurtalik dovrebbe trasportare 300mila barili al giorno, una frazione del totale di 2,25 milioni di barili al giorno esportati dall'Iraq in ottobre. Baghdad teme però che il numero possa crescere e ha espresso «forte opposizione» all'intesa, avvertendo che l'apertura di un nuovo oleodotto per l'export potrebbe danneggiare i rapporti con Ankara. Il governo turco avrebbe la soluzione, peraltro già presentata a Bagdhad: depositare i proventi del petrolio curdo presso la Banca centrale turca, che farà da garante e provvederà a trasferirne l'87% nelle casse di Baghdad e il restate 17% in quelle del Kurdistan autonomo come previsto dalla costituzione irachena.
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