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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2014 alle ore 08:51.

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ROMA
Eni avvierà da lunedì 6 gennaio il piano di buy-back fino al 10% del capitale approvato dall'assemblea del 10 maggio scorso e le cui modalità di esecuzione sono state definite nel cda del 29 ottobre. La società guidata da Paolo Scaroni ne ha dato notizia ieri specificando che «è stato conferito un incarico ad un intermediario, di durata non superiore al 30 aprile 2014, finalizzato all'esecuzione di una parte del programma». Il comunicato di ieri non è irrilevante, perchè alla tempistica del programma di riacquisto delle azioni dell'Eni il ministro per l'Economia, Fabrizio Saccomanni, a metà novembre aveva legato i destini della privatizzazione del pacchetto di titoli in mano al Tesoro. Il ministro aveva spiegato che la dismissioni sarebbe potuta avvenire entro l'anno, una volta terminato il piano di buy-back sul 10% del capitale che avrebbe portato, una volta annullate le aizoni, la quota pubblica (oggi Cdp ha il 26,7% e Tesoro ha il 4,3%) complessivamente al 33%. In quel modo il Tesoro avrebbe potuto vendere il 3% senza portare la quota pubblica sotto la soglia dell'Opa. Un'operazione così prospettata, però, avrebbe implicato per Eni di dover realizzare un riacquisto del valore di 6 miliardi in 6-8 mesi (seppure tecnicamente sia fattibile) quando per il precedente piano ci sono voluti 9 anni. Per la società avrebbe significato appesantire la propria posizione finanziaria di 6 miliardi in un tempo decisamente ridotto.
L'annuncio arrivato ieri sembra togliere ogni dubbio: se il Tesoro vorrà vendere la quota di Eni lo farà scegliendo un'altra strada. La società ha infatti deciso di avviare il piano a più di due mesi dal via libera del cda, dunque con tutta calma e senza la fretta che richiederebbe un piano di riacquisto da concludere entro l'autunno. Del resto lo stesso Scaroni nei giorni scorsi era stato chiaro. «Per il precedente 10% ci abbiamo messo 9 anni» aveva detto commentando la tempistica del riacquisto. Dunque, aveva aggiunto, questa volta «non è che ci metteremo nove mesi, ci mettiamo tempi lunghi». Scaroni aveva poi ricordato che Eni «ha fatto approvare dall'assemblea, quindi dal Tesoro, il piano di buy-back fino al 10% del capitale, come quello di 8-9 anni fa. Abbiamo detto che riacquisteremo le nostre azioni, ma ad alcune condizioni: se il prezzo del petrolio è alto, se rispettiamo i parametri finanziari e se i nostri risultati sono buoni».
Il mandato per realizzare una parte dell'operazione entro fine aprile è stato affidato a Ubs: la società ha fissato un tetto massimo al valore del riacquisto. Stando anche alle dichiarazioni di Scaroni, quel tetto non sarà certo di 3 miliardi, ma decisamente inferiore. Se si volesse chiudere il buy-back entro l'autunno, a fine aprile gli acquisti dovrebbero aver raggiunto almeno 2,5 miliardi. È probabile, dunque, che al ministero dell'Economia stiano studiando altre modalità per privatizzare l'Eni. Non è da escludere che si stia valutando l'ipotesi di cedere l'attuale 4,3% del Tesoro, dunque portando la quota pubblica al 26,7% (detenuta da Cdp). Mantenere il controllo su almeno il 25% del capitale dovrebbe comunque proteggere la società da scalate ostili, perchè in assemblea mancherebbe il quorum per le operazioni straordinarie. Ma non è da escludere che nel frattempo l'esecutivo approvi la riforma dell'Opa, abbassando la soglia per l'offerta totalitaria sotto al 30%.
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