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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2014 alle ore 08:47.

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Sfondato il limite per il PM10, mamme anti-smog impongono la mascherina ai pargoli come a Pechino, nelle pagine della cronaca locale si apprende che è in corso un attacco senza precedenti alle vie respiratorie della Nazione. Sarà vero? Durante una recente nebbia che a Milano non si vedeva da anni, in un sondaggio dilettantesco solo tre over40 ricordavano nebbioni unti, scuri e maleodoranti. Tutti gli altri ritenevano che l'aria fosse molto, ma molto peggiorata, come l'81% degli italiani in un sondaggio professionale citato da Stefano Caserini in Aria pulita. Rispetto agli anni Settanta però, «se si guardano i dati di rilevamento delle centraline in tutta Italia, il miglioramento c'è, ed è sostanziale». Caserini non generalizza, ricorda che dipende dalle condizioni meteorologiche locali, dalla miscela di gas e polveri e dalle loro interazioni. Ma anche se «la faccenda è complessa» e le stime per i danni dello smog alla salute sono affidabili entro i soliti margini di incertezza, in città come in campagna si respira meglio, ma molto meglio che ai tempi dei camini e delle stufe a legna. Profumano di natura e del bel tempo che fu, ma emettono migliaia di volte gli inquinanti, diossina compresa, prodotti da una caldaia a metano.
Da ingegnere ambientale al Politecnico di Milano, specializzato in riduzione degli inquinanti atmosferici, l'autore allinea dati difficili da contestare e si diverte a confrontarli con gli allarmi ricorrenti nei media. Così viene da fidarsi di lui quando da padre di famiglia la pensa come una mamma anti-smog. Vorrebbe un'aria più pulita di quella ottenuta con l'introduzione di motori, filtri e marmitte catalitiche via via più efficienti. Abbassare il livello degli aerosol, che solo in parte raffreddano, servirà anche a rallentare i cambiamenti climatici in corso, alcuni dei quali già percepibili in Italia, per esempio la maggior frequenza dei medicanes (da Mediterranean hurricanes) le devastanti tempeste che sorgono da un mare più caldo e che da 7 fra il 1945 e il 2002 sono passate a 8 nell'ultimo decennio. Caserini critica le misure locali a breve termine, le domeniche a piedi o le targhe alterne, e certe normative europee irrealistiche come quella che stabilisce un tetto alle polveri, quando al meteo non si comanda. I provvedimenti decisivi, dice, richiedono una pianificazione urbana lungimirante, che coordini e integri i servizi pubblici. Richiedono anche amministratori e cittadini responsabili, meno cinismo, meno illegalità. E più cultura scientifica. In un capitolo da antologia, racconta storie tragicomiche di comuni piccoli e grandi città che investono in presunti sistemi mangia-smog, inventati da geni misconosciuti, a volte valutati da scienziati incompetenti o poco scrupolosi, quasi sempre promossi da giornalisti creduloni.
«A nostra insaputa, abbiamo scommesso che saremo capaci di usare il potere e le conoscenze acquisite negli ultimi due secoli per adattarci ai rischi climatici che abbiamo innescato in quel periodo. Vinceremo la scommessa?» chiedeva l'economista Paul Krugman il mese scorso sulla New York Review of Books. Dagli esiti dell'ultimo vertice di Varsavia sembra che alcuni governi intendano perderla. In Clima, bene comune, Luca Mercalli e Alessandra Goria riassumono vent'anni di trattative estenuanti sugli interventi su larga scala necessari per mitigare i rischi e garantire un po' di equità ai paesi poveri e vulnerabili. Elencano anche gli ostacoli politici che si potrebbero superare se ci fosse un «dialogo tra due mondi diversi: la scienza del clima e l'economia». Nella parte più nuova del saggio, il meteorologo e l'economista spiegano con una chiarezza insolita perché applicare agli investimenti che gioveranno alle generazioni future uno tasso di sconto vicino a zero. Lo hanno usato Michael Bloomberg da sindaco di New York e i Paesi Bassi in quattro secoli di "polder economy" e non ci sembra portare automaticamente alla rovina, al contrario di quanto prevedono i numerosi fautori del 5% (di cui Krugman non fa parte).
Nel giallo brioso con sfumature rosa e verde ambientalista intitolato Alghe, il clima è impazzito e la scommessa di Krugman quasi persa. I sauditi annunciano che ehm… spiacenti, ma le riserve di petrolio dichiarate in realtà sono esaurite. In Italia si gela, all'inizio i treni si fermano per una nevicata, e si soffoca, pochi mesi dopo il parco di Villa Borghese s'incendia nell'estate romana. Dilaga l'arte di arrangiarsi a spese dei più deboli e nell'alta società si scatenano i bassi istinti. Ma in un borgo della Sicilia che resiste allo sfacelo, un centro di ricerca resiste ai tagli dei fondi e della corrente. Un gruppo guidato da una giovane microbiologa ha geneticamente modificato un cianobatterio dal quale sgorgano finalmente idrocarburi. Ne sgorgheranno miliardi per un fondo sovrano cinese gestito da banditi o per un hedge fund dove lavora un giovane manager meno immorale? Delle due autrici che si firmano Francesca Vesco, una ha senz'altro un'ottima cultura scientifica, ma entrambe la usano con parsimonia, per giocare con gli stereotipi e ribaltarli a sorpresa. Sono attente ai dialoghi e ai gesti rivelatori, in particolare tra fidanzati nuovi e tra vecchi coniugi, e abilissime nell'evocare in poche righe paesaggi amati diventati all'improvviso fragili. Nell'ultimo rebondissement, un regalo di Natale che alla destinataria era parso ridicolo, le salva invece la vita e la buona coscienza in un finale perfetto per placare l'ansia di stagione.

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