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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2014 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 10 gennaio 2014 alle ore 10:37.

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Jobs Act, Bonanni (Cisl): favorevoli, ma flessibilità va pagata di più
Un'apertura al Jobs Act arriva anche dalla Cisl. «Ne dobbiamo discutere ma siamo tendenzialmente favorevoli», afferma il segretario Raffaele Bonanni, intervistato da Skytg24. Secondo Bonanni la "flessibilità" va bene «a patto che venga pagata di più» e piace l'idea «di dare forza a un solo contratto ed eliminare quei contratti civetta che servono solo per pagare meno le persone, specie giovani».

Camusso (Cgil): novità inaspettata riduzione forme lavoro
Più tiepida la reazione della Cgil, che però apre al confronto: «avremmo sperato in una maggior ambizione, a partire ad esempio dalla creazione del lavoro o dalle risorse, penso alla patrimoniale, ma è già importante che il tema del lavoro sia tornato al centro», ha dichiarato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. «Non possiamo che salutare con favore - ha aggiunto la sindacalista - che il dibattito politico finalmente abbia ripreso a parlare di lavoro e che il più grande partito del centrosinistra si stia impegnando a fare delle proposte». A seguire un inaspettato riconoscimento a Renzi: «Che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro è una novità assolutamente inaspettata: fino ad oggi lo dicevamo solo noi»

Brunetta: Jobs Act scritto da dilettanti allo sbaraglio
Chi boccia su tutta la linea il Jobs Act è Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. «Il testo di Renzi sembra scritto da dilettanti allo sbaraglio, un po' furbetti, un po' opportunisti, sicuramente molto pasticcioni», scrive in una nota. E aggiunge: «Quello che si è letto, è di una pochezza tecnica, culturale, politica e scientifica spaventose, e da esso emerge una totale non conoscenza non solo delle relazioni industriali, ma anche e soprattutto del rapporto che lega il lavoro allo sviluppo economico». Tra le strategie contenute nel Jobs act, per Brunetta «il sussidio universale significa più contributi, quindi più costi per le aziende» mentre la sostituzione «degli attuali contratti di lavoro flessibili con un contratto unico a tempo indeterminato, senza toccare l'articolo 18, va contro i lavoratori e produce effetti addirittura peggiori delle già pessime riforme Fornero».

I Cinque Stelle rilanciano sul reddito di cittadinanza
Tra le soluzioni messe sul tavolo da Renzi, i Cinque Stelle commentano quella che prevede un assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l'obbligo però di seguire un corso di formazione professionale e di non rifoutare più di una nuova proposta di lavoro. «Siamo convinti che il reddito di cittadinanza, così com'era stato proposto, continui ad essere lo strumento migliore. Quello che dice Renzi in parte può essere condivisibile dal punto di vista teorico ma noi continuiamo ad aspettare dei fatti». afferma Paola Taverna, capogruppo al Senato del M5S, a Radio anch'Io.

Il renziano Nardella: l'articolo 18 non é al centro della discussione
Il renziano Dario Nardella chiarisce invece la proposta del segretario di un contratto di introdurre un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il tema dell'articolo 18, sottolinea, non é centrale nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro. «Gli imprenditori non decidono di assumere o meno sulla base dell'articolo 18», afferma il deputato del Pd a Sky Tg24, mentre centrale é «la semplificazione burocratica».
Dunque, conclude Nardella, «l'articolo 18 non é al centro di questa discussione. Rischia di essere una lotta ideologica, un feticcio, se guardiamo all'economia reale gli imprenditori ragionano in modo diverso».

Franceschini: Renzi non è premier ombra
Dopo il pasticcio sugli stipendi degli insegnanti e quello al Senato sul decreto Salva Roma, che prima è stato stoppato dalla Commissione Affari costituzionali e poi è stato salvato dall'Aula, il governo è nel mirino dell'opposizione. In un'intervista al Corriere della Sera il ministro Franceschini nega che ci sia «un premier ombra. Se i partiti tirano ognuno la coperta dalla propria parte - spiega Franceschini - il governo media. Questo schema è figlio di quel che è stato detto in Parlamento dopo l'uscita di Forza Italia. Letta gestisce l'agenda - conclude il ministro - e i partiti gestiscono le trattative su riforme e legge elettorale, che riguardano un perimetro più ampio della maggioranza. Ed è naturale che questo percorso lo faccia il leader del partito più grande. Sono due lavori paralleli e diversi, non vedo sovrapposizioni».

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