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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2014 alle ore 13:21.

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Scuola. Ho fatto tutta la campagna elettorale dicendo: il problema degli insegnanti è di dignità, prima che economico. È vero, guadagnano poco. Ma soprattutto sono poco considerati. Noi cambieremo verso e recupereremo il loro ruolo coinvolgendoli in una grande campagna per la riforma scolastica. Bene. Non ho fatto in tempo a dirlo che una di quelle decisioni ragionieristiche allucinanti del Governo ha tagliato agli insegnanti 150 euro al mese. Ora, a me va bene tutto. Ma le figuracce gratis anche no. Stamattina il Governo ci ha messo una pezza. Era già accaduto con le slot machines, con gli affitti d'oro, con le polemiche dell'ANCI: dobbiamo trovare un modo diverso di lavorare insieme. Non sono affezionato alle liturgie della prima repubblica con gli incontri di delegazioni: mi è sufficiente che si prenda un impegno chiaro con i cittadini e si rispetti.
Vorrei parlarvi di molte altre cose, ma forse dobbiamo limitarci a fare un piccolo passo in avanti su come funzionerà il Jobs Act di cui in molti in queste ore stanno parlando.

Partiamo da due premesse.
Una di metodo. Gli spunti che trovate in questa enews saranno inviati domani ai parlamentari, ai circoli, agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni. Dunque non è un documento chiuso, ma aperto al lavoro di chiunque. Anche vostro.

Una di merito. Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare. L'Italia può farcela, ma deve uscire da questa situazione di bella addormentata nel bosco. Deve rompere l'incantesimo. Per farlo c'è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi.

Punto di partenza: l'Italia ha tutto per farcela. È un Paese che ha una forza straordinaria ma è stato gestito in questi anni da una classe dirigente mediocre che ha fatto leva sulla paura per non affrontare la realtà (straordinaria la pennellata di De Rita nella relazione Censis di quest'anno). Un cambiamento radicale è possibile partendo dall'assunto che il sistema Paese ha le risorse per essere leader in Europa e punto di attrazione nel mondo. E che la globalizzazione non è il nostro problema, ma la più grande opportunità per l'Italia. Un mondo piatto, sempre più numeroso e sempre più ricco, che ha fame di bello, quindi di Italia. A noi il compito di non sprecare questa possibilità; abbiamo già sprecato la crisi, adesso non possiamo sciupare anche la ripresa.

Ma l'Italia vive un paradosso. Per responsabilità (diffusa) della classe dirigente, abbiamo perso molto tempo. E i dati dell'Istat di oggi – che proiettano una disoccupazione giovanile ai record dal 1977 – sono una fotografia devastante. Bisogna correre, allora. Fermare l'emorragia dei posti di lavoro. E poi iniziare a risalire la china.

Il PD crede possibile che il JobsAct sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire.
Ma sappiamo benissimo che la credibilità della classe politica parte dalla capacità di dare il buon esempio. Ecco perché è fondamentale che si faccia rapidamente la legge elettorale, si taglino per un miliardo i costi della politica, si eliminino le rappresentanze politiche di Province e Senato, si riduca il numero e il compenso dei consiglieri regionali. Se dobbiamo cambiare – e noi dobbiamo cambiare – bisogna partire dalla politica.

Qui c'è un sommario, con le prime azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia. Nella prossima settimana lo arricchiremo con le osservazioni ricevute e lo discuteremo nella direzione del PD del 16 gennaio. Nessuno si senta escluso: è un documento aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio documento tecnico.

L'obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri (tra il 2008 e il 2012 l'Italia ha attratto 12 miliardi di euro all'anno di investimenti stranieri. Metà della Germania, 25 miliardi un terzo della Francia e della Spagna, 37 miliardi). Per la Banca Mondiale siamo al 73° posto aal mondo per facilità di fare impresa (dopo la Romania, prima delle Seychelles). Per il World Economic Forum siamo al 42° posto per competitività (dopo la Polonia, prima della Turchia). Vi sembra possibile? No, ovviamente no. E allora basta ideologia e mettiamoci sotto

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