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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2014 alle ore 13:40.
L'ultima modifica è del 09 gennaio 2014 alle ore 15:07.

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La vicenda dei marò italiani trattenuti in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori «non rientra nei casi in cui si può applicare la pena di morte». Lo ha ribadito oggi il ministro degli Esteri di New Delhi Salman Khurshid al collega degli Interni, Sushil Kumar Shinde, nel corso del vertice governativo di oggi nella capitale indiana. Le autorità indiane, infatti, avevano già dato assicurazione all'Italia che i fucilieri di marina non avrebbero rischiato in ogni caso la pena capitale. L'emittente tv Cnn-Ibn ha citato una dichiarazione formulata da Khurshid all'uscita dell'incontro con Shinde e con il ministro della Giustizia, Kapil Sibal: «Ho spiegato il punto di vista del ministero degli Esteri sulla vicenda al ministro degli Interni», che peraltro «ha l'ultima parola». «Ho ricordato - ha ancora detto - che esiste il fatto che il Governo indiano ha fornito un'assicurazione che i due marò non rischiano la pena di morte».

Dal titolare degli Interni, però, dipende la polizia della National investigation agency (Nia) che presto dovrà presentare il rapporto conclusivo sulle indagini a un tribunale speciale. La Nia ha già chiesto al ministero degli Interni «l'autorizzazione a procedere contro i due militari italiani in base a una speciale legge marittima», spiega l'emittente Cnn-Ibn riferendosi al "Sua Act", una legge del 2008 contro la pirateria marittima in acque internazionali. Questa legge prevede la pena di morte in caso di omicidio e quindi violerebbe la "garanzia" data a Roma dal Governo indiano lo scorso marzo quando i marò sono tornati dalla licenza elettorale. Secondo l'emittente tv la situazione è particolarmente complicata perchè, da una parte, la polizia indiana può presentare un rapporto sul caso, avvenuto fuori dalle acque territoriali, solo utilizzando la Legge indiana per la repressione della pirateria che implica la richiesta di pena di morte. Dall'altra, se si rimuove il "Sua Act" per evitare l'incriminazione per la pena capitale e si invoca solo il Codice penale, allora la Nia non ha giurisdizione.

Ieri, la National investigation agency aveva chiesto al tribunale speciale di assumersi la responsabilità della custodia dei due marò, attualmente in libertà vigilata dietro cauzione e sotto la tutela della Corte Suprema. I legali degli italiani avevano però obiettato che in mancanza del rapporto della polizia contenente i capi di imputazione, il giudice non sarebbe stato legittimato a disporre dei marò. Per cercare di sbrogliare questa intricata matassa si sono incontrati oggi i più importanti ministri del Governo indiano. Nel frattempo è in missione a New Delhi l'inviato speciale del Governo italiano Staffan de Mistura, che getta acqua sul fuoco, affermando all'Ansa che «la questione della pena di morte applicabile ai marò è già da tempo totalmente esclusa, sia da passate dichiarazioni del ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, sia da prese di posizione al riguardo nel Parlamento di Delhi» . «È grave - ha poi aggiunto l'inviato italiano - che la Nia non abbia ancora presentato il rapporto sulla conclusione delle indagini: in un anno non sono ancora riusciti a emettere un minimo capo d'accusa. Ovviamente non sono pronti e non hanno sufficienti argomenti». I legali dei due marò, che avrebbero dovuto replicare mercoledì prossimo alle obiezioni della National investigation agency, si sono presi più tempo. Il tribunale ha fissato una nuova udienza per il prossimo 30 gennaio, ma entro 15 giorni a partire da ieri la difesa dovrà far conoscere la propria posizione. (M. Do.)


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