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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2014 alle ore 06:46.

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Nel Mediterraneo, privato da tempo di gran parte del petrolio libico, sta aprendosi un nuovo canale di rifornimento. Per il momento si tratta di poche migliaia di barili al giorno, ma se tutto andrà secondo i piani – il che è tutt'altro che scontato – a fine anno il flusso potrebbe ingrossarsi fino a 400mila bg. È il greggio del Kurdistan iracheno, che ha finalmente trovato una via relativamente stabile e sicura per i mercati internazionali: un oleodotto, che è appena entrato in funzione consentendo a Erbil di offrire all'asta per fine gennaio 2 milioni di barili di greggio con consegna al porto di Ceyhan, in Turchia. Le vendite dovrebbero poi salire a 4 milioni di barili in febbraio e 6 milioni in marzo, con l'obiettivo di raggiungere 10-12 milioni di barili nel mese di dicembre. Il tutto bypassando il Governo federale di Baghdad, che non ha nascosto l'irritazione: «Non abbiamo dato nessuna approvazione» è stato il laconico commento rilasciato ieri dal vicepremier Hussain al-Shahristani.
Baghdad si oppone inutilmente da anni alle iniziative autonome del Kurdistan Regional Government (Krg) in materia di petrolio e ha definito «illegali» i contratti che quest'ultimo ha sottoscritto con compagnie straniere, compresi big del calibro di ExxonMobil, Chevron e Total, che – messi di fronte all'aut aut – hanno finito col preferire gli investimenti in territorio curdo.
Oggi la scommessa sta cominciando a premiare. L'apertura del nuovo oleodotto è stata festeggiata dai mercati, che hanno premiato con forti rialzi tutti i principali protagonisti nell'area, a cominciare da Genel Energy, società turca rilevata nel 2011 dal finanziere inglese Nathaniel Rothschild e guidata dall'ex ceo di Bp, Tony Hayward, due vecchie volpi che hanno saputo intuire il potenziale del Kurdistan iracheno, che racchiude riserve di petrolio quasi vergini per 45 miliardi di barili, il 7% del totale nel mondo e circa un terzo di quelle dell'Iraq (a sua volta quinto nella graduatoria mondiale delle riserve).
Genel, che ieri ha guadagnato oltre il 4% sul listino londinese, sarà la prima società ad esportare petrolio curdo via pipeline, insieme ai soci norvegesi di Dno. Le forniture inizialmente arriveranno dal giacimento Taqwa, poi si aggiungerà il greggio di Taq Taq. Infine si apriranno le porte ad altri, capacità permettendo (ma Erbil sta già pianificando un altro oleodotto, da almeno 1 mbg). Gulf Keystone, che sempre ieri ha annunciato l'avvio di esportazioni di greggio in autobotte dal giacimento Shaikan, si è già detta pronta ad ingrossare i flussi.
Se le promesse saranno mantenute, il Kurdistan potrà offrire un contributo importante alle ambizioni petrolifere di Baghdad, messe a repentaglio dal riesplodere della violenza nel Paese. Per il momento i principali giacimenti iracheni – situati nel Sud, lontano dalla provincia sunnita di Ambar, epicentro dei combattimenti – non sembrano esposti a rischi. Ma gli attacchi ad altre infrastrutture, a cominciare da importanti pipeline come la Kirkuk-Ceyhan, si stanno moltiplicando. E con le elezioni in programma tra quattro mesi il Paese potrebbe andare incontro a un lungo periodo di instabilità politica, poco favorevole a risollevare la produzione, che l'anno scorso è rimasta piatta a 3 mbg.
@SissiBellomo
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