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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2014 alle ore 08:25.

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ROMA
Il relitto di Costa Concordia sarà rimosso dall'isola del Giglio a giugno 2014 e comunque, se si dovesse verificare qualche imprevisto, non oltre luglio. Il governo italiano, peraltro, non fa mistero di preferire che il successivo smantellamento della nave avvenga in un porto italiano. E sono quattro gli scali nazionali in gara per l'opera: Genova, Piombino, Civitavecchia e Palermo (col bacino di Fincantieri). Intanto emergono i costi dell'operazione di recupero: circa 600 milioni, il 5% dei quali (circa 30 milioni) saranno impiegati per la rottamazione della nave.
A illustrare le prossime fasi del recupero dello scafo, naufragato di fronte al Giglio il 13 gennaio 2012, sono stati ieri il ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando, il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, l'ad di Costa Crociere Michael Thamm e Franco Porcellacchia, responsabile per la Costa del progetto di rimozione.
Per lo smantellamento del relitto è stata avviata un procedura gestita dalla London offshore consultants, che prevede una fase di manifestazione di interessi, già conclusa, che ha coinvolto 30 società ed enti potenzialmente in grado di effettuare la demolizione e il riciclo del relitto. La seconda fase, in corso, ha ristretto il campo a 12 soggetti ai quali è stato inviato l'invito a formulare proposte per l'operazione. Poi ci sarà la selezione finale, prevista tra fine febbraio e inizio marzo.
Dodici soggetti (si tratta di società private e porti), ha detto Gabrielli, «hanno manifestato interesse. Di questi, 5 (gli scali coinvolti in realtà sono 4, perché ci sono due proposte su Piombino, ndr) sono sul territorio nazionale». Qualora il porto, ha proseguito Gabrielli, «fosse a una distanza tale da consentire il traino e la movimentazione del relitto, il tragitto sarà Giglio-porto di destinazione. Ma se la scelta dovesse ricadere su un luogo a più lunga distanza, tale da non consentire la mobilitazione in sicurezza, la nave sarà collocata fino a settembre-ottobre in un porto intermedio. E di lì, con il Vanguard (una giantesca nave semisommergibile in grado di caricare a bordo il relitto, ndr), alla destinazione finale». Costa ha già opzionato la disponibilità della Dockwise Vanguard per settembre-ottobre, con un contratto da 30 milioni di dollari».
Oltre alle manifestazioni di interesse per l'operazione relative ai quattro porti italiani, le nazioni che risultano al momento in gara per la demolizione sono Norvegia (con la Af Group), Turchia (quattro cantieri, alcuni dei quali potrebbero associarsi), Regno Unito (con l'operatore Able presso l'Able Seaton port sul fiume Tees), Francia (in corsa è Marsiglia, dove i bacini sono gestiti dall'italiana San Giorgio-Mariotti) e la Cina. Un problema più serio riguarda i fondali: la nave, una volta rimessa in galleggiamento (per farlo dovranno essere agganciati alle murate ancora 15 cassoni a sinistra e quattro a dritta, operazione che partirà in aprile), avrà un pescaggio di 18,5 metri. Pochi, quindi, sono i porti italiani in grado di ospitarla: Piombino, ad esempio, ha fondali intorno agli otto metri.
In ogni caso, il ministro Orlando ha affermato: «Penso di poter dire che, a nome del governo italiano, preferiamo un porto italiano per la destinazione finale dello smantellamento della nave Costa Concordia». Orlando ha anche spiegato che chonvocherà «i porti italiani coinvolti per un confronto sulla capacità di attuazione delle esigenze formulate dal gruppo Carnival (azionista di Costa, ndr). Il governo può, infatti, verificare lo stato dell'arte nei vari scali e quali tipi di intervento si possono fare per renderli adeguati a ospitare la nave». I porti italiani, ha aggiunto, «possono svolgere una funzione importante nella chiusura di questo ciclo» dello smaltimento del relitto» ed è una «legittima ambizione del nostro Paese di mettere in campo professionalità ed eccellenze, ma anche una limitazione del rischio», che si traduce nel ridurre il tragitto del relitto.
Thamm, da parte sua, ha spiegato: «Come Costa facciamo parte dell'economia italiana e sentiamo nel dna di essere italiani. Sarei felicissimo se questa operazione andasse a un porto italiano, non importa quale. Dipenderà tutto dalle proposte».
Thamm ha anche precisato che l'intera operazione di recupero costerà all'azienda 600 milioni e che uno studio del Politecnico di Milano ha stimato che il Pil attivato dal progetto di recupero, in Italia, è pari a 540 milioni. Inoltre, dei 435 milioni di spesa diretta generati dal progetto, l'Italia ha tratto un importo pari a 261 milioni (60%). Seguono Usa (20,86%), Regno Unito (11,98%), Paesi Bassi (3,75%) e Germania (2,58%).
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Le cifre del progetto
540 milioni L'impatto L'effetto del recupero sul Pil calcolato dal Politecnico di Milano
30 milioni La rottamazione La cifra corrisponde al 5% dell'intero costo dell'operazione
600 milioni Costo dell'operazione La cifra è quanto pagherà Costa per le operazioni di recupero

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