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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2014 alle ore 08:45.

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Era l'anno della Rivoluzione francese, il 1789, quando Vittorio Alfieri pubblicava un saggio che aveva a lungo limato negli anni precedenti, Del principe e delle lettere. Quando ero ancora a Milano come prefetto della Biblioteca Ambrosiana, un amico mi regalò quella prima edizione che – devo confessarlo – lessi un po' svogliatamente soprattutto per l'enfasi con cui si celebrava la poesia come suprema espressione di libertà, di eroismo e di verità. Notai, però, e conservai una citazione che suonava così: «Il credere in Dio non nocque a nessun popolo mai; giovò anzi a molti; agli individui di robusto animo non toglie nulla; ai deboli è sollievo ed appoggio». Siamo, quindi, ben lontani dallo stereotipo marxiano della «religione oppio dei popoli», «felicità illusoria del popolo, la cui abolizione è necessaria per la sua felicità reale» (così Marx nella sua Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico).
La religione, comunque la si giudichi, rimane uno degli archetipi fondamentali di ogni cultura ed etnia ed è per questo che la si deve sempre considerare con attenzione, ma anche con cautela perché, come insegnava già David Hume, «se gli errori della filosofia sono ridicoli, quelli della religione sono sempre pericolosi» e l'attuale fondamentalismo lo conferma. Per questo, diventa indispensabile sostituire allo scontro di huntingtoniana memoria un confronto che approdi possibilmente al dialogo e all'incontro. È in questo spirito che Paolo VI, in piena era conciliare, il 19 maggio 1964, istituì un "Segretariato per i non Cristiani" che Giovanni Paolo II, con la costituzione Pastor bonus del 28 giugno 1988, trasformò in "Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso", un dicastero vaticano attualmente presieduto da un cardinale francese di grande finezza intellettuale, con un passato di intensa esperienza diplomatica, Jean-Louis Tauran.
Del costante impegno dei papi e delle istituzioni ufficiali ecclesiastiche per questo dialogo si ha ora una straordinaria documentazione allestita con acribia certosina da un arcivescovo che è, però, un francescano cappuccino, mons. Francesco Gioia. Si parte ovviamente da una sorgente che ha alimentato tutto il fiume dei 909 documenti raccolti in questa silloge: la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, approvata dai vescovi e suggellata da Paolo VI il 28 ottobre 1965. Ne vogliamo citare uno stralcio perché esso è quasi la chiave ermeneutica per comprendere tutto il filo dei testi riuniti in questo tomo di oltre 2100 pagine, articolate in ben otto sezioni (Concilio Vaticano II, magistero solenne dei papi, magistero specifico dei singoli pontefici, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, i documenti dei vari dicasteri della Curia romana sul tema e, infine, i testi legislativi).
Ecco, dunque, le parole del Vaticano II nella Nostra Aetate: «La Chiesa cattolica considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini... Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendano testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi» (n. 2). In questa delicata, ma anche necessaria e affascinante, esperienza di dialogo è indispensabile navigare evitando due scogli opposti.
Da un lato, infatti, c'è la Scilla dell'integralismo esclusivo che ha appunto nel fondamentalismo il suo vessillo spesso insanguinato: la cronaca tragica di certi paesi dell'Asia e dell'Africa, ma anche le esplosioni inattese di queste degenerazioni religiose nello stesso Occidente ne sono una terribile testimonianza. Aveva ragione Borges quando già nel 1962, nei suoi Labirinti, osservava che «è più facile morire per una religione di quanto lo sia viverla assolutamente». D'altro lato, c'è, però, la nebbiosa Cariddi del sincretismo incolore che relativizza ogni Credo stemperandolo in un'innocua melassa spirituale. L'autentico dialogo è, infatti, l'incontro attento e rispettoso (dià-) tra due lógoi religiosi dotati di una loro identità teologica e culturale. La coesistenza non deve fondarsi solo su un minimo comune denominatore statico, inoffensivo e inerte, ma in un contrappunto dinamico, efficace e coerente.
Proprio questa qualità, che si riflette nell'arcobaleno tematico dei testi qui antologizzati e che è esaltata da un esemplare e prezioso indice analitico, fa comprendere quanto sia arduo, ma al tempo stesso affascinante il dialogo interreligioso che è uno dei volti più marcati e vivaci della stessa interculturalità. C'è, però, la fiducia che, pur nella diversità delle professioni di fede e dei culti, unico è il Dio che sta sopra tutti, si rivela, giudica e salva. Come aveva detto nel suo ultimo discorso natalizio alla Curia romana Benedetto XVI, il 21 dicembre 2012, «non siamo noi a possedere la verità; ma è essa a possedere noi» ed è proprio in questa prospettiva che Cristo si è definito Verità, essendo quest'ultima trascendente e divina, precedente ed eccedente rispetto alla ricerca umana.
Una nota a margine. Spesso nel linguaggio comune si usano come sinonimi le locuzioni "dialogo interreligioso" e "dialogo ecumenico". In realtà, tra esse esiste una netta distinzione perché l'ecumenismo in senso stretto riguarda il confronto e la collaborazione tra le diverse denominazioni cristiane che hanno una loro matrice comune nella Bibbia, nella fede in Cristo, nel battesimo. È per questo che, accanto al Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, che basa la sua opera nell'incontro con le religioni non cristiane (come è attestato dal volume che abbiamo presentato), esiste anche nella Chiesa cattolica un Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, sorto già nel 1960 su decisione di Giovanni XXIII, successivamente riconfermato, articolato e ora presieduto dal cardinale svizzero Kurt Koch.

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