Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2014 alle ore 08:47.

My24

È davvero uno strano caso teatrale, a suo modo unico, quello di Tennessee Williams, un autore che, a seconda di come lo si affronta, può scadere a una convenzionalità assoluta o investire la platea con un'incontenibile potenza drammatica.
Tutte le opere scritte per la scena sono ovviamente soggette alle chiavi interpretative, più o meno rivitalizzanti, imposte dalla regia: ma per quanto riguarda Williams si è colto con chiarezza, soprattutto in questi ultimi anni, dopo una certa fase di obsolescenza della sua cifra stilistica, quanto ampio possa essere questo scarto tra la polvere del passato e i lampi di un'abbacinante modernità.
C'è un altro aspetto sorprendente che va sottolineato: da De Capitani a Latella è invalsa l'abitudine, nelle messinscene recenti, di dare nuova linfa alle sue vicende adottando il metodo di entrare e uscire continuamente dal testo, di seguirne e commentarne gli sviluppi osservandolo come dall'esterno.
Arturo Cirillo, invece, allestendo al Teatro Menotti di Milano Zoo di vetro, la struttura della pièce non la tocca proprio, la lima, la taglia ma non ne altera l'andamento, si limita a cambiare il punto di vista dal quale vi si accosta. Eppure l'effetto è lo stesso: ne annulla, in qualche modo, le distanze, pare mostrarcela come se la vedessimo per la prima volta.
In cosa consiste, esattamente, l'intervento di Cirillo? All'apparenza, l'attore-regista non fa nulla di troppo vistoso: gioca sulle sfumature, accentua appena una certa cadenza vagamente napoletana dei personaggi. Appende in alto alcune grandi foto che ritraggono gli attori stessi da ragazzi, sottolineando un certo taglio autobiografico – ma nel senso di una sorta di memoria collettiva – che viene evidenziato nella trama. Vanno in questa direzione anche i pochi arredi anni Sessanta che scandiscono il palco nudo, e le canzoni di Luigi Tenco che irrompono nell'azione di tanto in tanto. Si tratta di spostamenti minimi, che però hanno un esito decisivo.
L'oggetto principale delle sue attenzioni è Amanda, la madre dispotica e opprimente, nevroticamente prigioniera dei sogni della propria giovinezza: Cirillo sfronda quella patina di sofisticatezza che ne contraddistingue in genere la fisionomia, la sottrae alla sua immagine salottiera, a quel fatuo cicaleccio da upper class americana prima della crisi del '29. Ne fa invece una specie di madre mediterranea dall'invadenza più domestica, più intimamente ossessiva e possessiva: e nel ricalibrare la sua figura centrale influisce inevitabilmente anche sugli altri personaggi, li cala in un contesto famigliare a noi per vari aspetti più vicino.
A essere inquadrata con lancinante nitidezza è in primo luogo Laura, la figlia zoppa e solitaria, esclusa dai normali rapporti con gli altri a causa di una forma di morbosa timidezza. In lei questa ritrosia, questa paura dei contatti umani, assume davvero una valenza gravemente e dolorosamente patologica: la scena in cui la madre vuole spingerla ad andare ad aprire la porta, dietro la quale è in attesa Jim, il collega del fratello invitato a cena come possibile partito, è tanto straziante da risultare quasi insopportabile. Più che una ragazza impacciata spinta a fare qualcosa che non vuole sembra un animale torturato, un insetto inchiodato a uno spillo.
Ma anche gli altri personaggi, il fratello Tom, ansioso solo di andarsene altrove, il suo amico Jim, il corteggiatore mancato, e la madre stessa, e persino il padre assente, fuggito da quella casa da molti anni, coi loro fallimenti, col loro comune disadattamento sembrano assumere uno spessore di verità inusuale, un'autenticità di sentimenti che li strappa alla stilizzazione letteraria per consegnarli all'immediatezza della vita. Anche quando non sono impegnati nell'azione restano lì, in un angolo della ribalta, a tenersi d'occhio tacitamente a vicenda, come delle prede intrappolate che non possono più sfuggire al proprio destino.
Grande merito, nella buona riuscita dello spettacolo, va attribuito a un'eccellente compagnia, in cui spiccano specialmente le due interpreti femminili: la magnifica Monica Piseddu, che conferisce all'esangue Laura un acre, tormentato risalto interiore, prosciugandola da qualunque risonanza dolciastra, e Milvia Marigliano, che tratteggia gli eccessi protettivi di Amanda con una sorta di affettuosa adesione, rendendola più patetica che irritante. Accanto a loro lo stesso Cirillo, un Tom tutto ombre e silenzi e segrete inquietudini, e il bravissimo Edoardo Ribatto nel ruolo dell'estraneo che fa cadere forse per sempre ogni speranza di salvezza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Zoo di vetro, di Tennessee Williams, regia di Arturo Cirillo, Milano, Teatro Menotti, fino al 26 gennaio

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi