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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2014 alle ore 08:47.

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In fine d'anno, a Parigi, si poteva vedere Venere con stivaloni e grandi spacchi, somigliante un po' alla Dea Kalì, farsi strappare i capelli rasta dal figlio Amore, innamorato di Psiche. O un Don Giovanni finalmente giovane e avvenente, il trentenne Loïc Corbery, uno dei più promettenti della sua generazione (la stessa età che aveva La Grange quando lo interpretò alla prima, nel 1665). O, finalmente, un musical con un'orchestra dalle giuste dimensioni, e non amplificata – nonché un vero coro e comparse: My Fair Lady, come dev'essere messa in scena (costo per 27 recite: 3, 3 milioni di euro, d'altra parte). Questo e molto altro – perché nei numerosi teatri privati si potevano anche incontrare volti conosciuti in Italia, tra cui Daniel Auteuil (Nos femmes, Théâtre de Paris fino al 16 febbraio), e pure Amanda Lear.
Nei teatri pubblici la corrente che circolava sembrava essere il desiderio amoroso: il Ballet de l'Opéra con Le Parc, la Comédie-Française con Psyché e con Dom Juan; il Ballet de l'Opéra de Lyon al Théâtre de la Ville con la Giselle nella coreografia di Mats Ek.
«Se essere un coreografo non significa elaborare un linguaggio con la danza, che cos'è allora ?» esclama Angelin Preljocaj, figura di primo piano della danza francese dalla metà degli anni Ottanta, che in Le Parc, del 1994, ci parla del desiderio mentre rimescola le carte del libertinaggio. In un giardino alla francese osserviamo il confrontarsi dei gruppi di donne e uomini, l'intrecciarsi delle coppie, l'intensità passionale dei pas de deux che chiudono ciascuno dei tre atti, percorsi da celebri Adagi mozartiani. Un cielo classico, abitato da una gestualità contemporanea. Di lui si può vedere il recente Les nuits fino al 19 gennaio al Théâtre de Chaillot.
È possibile, oggi, rendersi conto di cos'erano gli spettacoli che il Re Sole desiderava vedere nella grandiosa Salle à Machines, il suo teatro alle Tuileries costruito da Vigarani? Con un palcoscenico largo 10 metri ma profondo 46?! Nel 1671 concede solo sette settimane a Molière per scrivere e allestire lo spettacolo. Molière si fa aiutare da Corneille e da Quinault, musiche di Lulli, «sta sul classico», e sceglie la vicenda di Amore e Psiche. Va in scena così una tragi-comédie et ballet di cinque ore, con più di centottanta fra musicisti e danzatori. Alla Comédie-Française ci provano, a cinquant'anni dall'ultimo allestimento. La regista Véronique Vella asciuga a poco più di due ore; affida le musiche a Vincent Leterme (al piano, in scena), che scrive puro barocco così come musical, come chanson; libera la sua fantasia nell'utilizzare tutte le potenzialità del palcoscenico del celebre Teatro (dobbiamo pensare che le didascalie originali parlano di divinità che escono di scena volando, di salite all'Olimpo, discese agli Inferi, e così via). Vella ci restituisce così una godibile commedia musicale con danze (che spasso le due sorelle gelose che si sollevano l'abito barocco per numero di tip-tap), sostenuta da una compagnia che, recitando cantando ballando, ci parla delle relazioni familiari. In scena fino al 4 marzo.
A 70 anni Jean-Pierre Vincent, uno dei grandi registi francesi e direttore di teatri (tra cui la Comédie) firma con il Don Juan una fra le sue migliori regie, facendo ritrovare al testo di Molière una freschezza, una giovinezza – e dunque un'intensità – piacevoli, e benvenute: come quella di Corbery, che rompe decisamente con l'immagine del libertino di età matura che sfida il cielo e la società, il seduttore insaziabile e irresistibile come Casanova. In scena fino al 9 febbraio.
Invece il desiderio amoroso non sembrerebbe percorrere la splendida My Fair Lady, 27 tutto-esaurito al Théâtre du Châtelet. «La» commedia musicale perfetta (è stato detto) è stata ripresa dopo i successi del 2010. Bella regia di Robert Carsen, Higgins è molto ben interpretato da Alex Jennings, bravi tutti – the Golden Age of the Musical.
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