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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2014 alle ore 08:46.

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«L'avanguardia è il rifugio delle zitelle» proclamava il titolo della rivista «Omnibus» nella didascalia della foto che ritraeva Georgia O'Keeffe accanto a un teschio. Poco importava che la pittrice fosse amatissima dal marito, il noto fotografo Alfred Stieglitz. L'informazione italiana non ha mai guardato per il sottile i fatti dell'arte contemporanea, considerandola alla stregua di un riempitivo possibilmente spassoso. La competenza di chi firmava gli articoli è apparsa ai direttori spesso un optional, tanto i servizi su mostre e artisti uscivano nelle pagine dello svago e non in terza. Di ciò si occupa un libro, risultato di una delle pochissime ricerche italiane finanziate con fondi europei, a cura di Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi, Maria Grazia Messina e Antonello Negri. Vi si raccolgono parte dei materiali condotti in quattro atenei italiani: Roma Tre, Udine, Firenze e Milano, con un effetto-cordata serio e raro.
Tema: com'è stata affrontata l'arte visiva del Novecento negli organi di stampa divulgativi, da rotocalchi come «Epoca», «L'Europeo» e «La Domenica del Corriere», ma anche quotidiani o riviste di nicchia? Sintetizzando forse troppo, il novero dei saggi conclude che l'arte contemporanea è quasi sempre stata trattata male, con sufficienza e superficialità, talvolta da un esperto di buona penna ma dai giudizi raramente aggiornati: caso paradigmatico quel Raffaele Carrieri che, detestando la Biennale, la stigmatizzava sistematicamente con titoli quali «La chincaglieria di Venezia» (su «Epoca», 30 giugno 1968).
A volte prendere in giro è facilissimo: vittime designate sono Lucio Fontana con i suoi tagli e buchi o Piero Manzoni che offriva al pubblico uova sode o il suo fiato chiuso in dei palloncini. Ma nemmeno artisti di minore portata scandalistica, quali lo scultore Alberto Viani e in generale tutti gli astrattisti sono stati immuni da lazzi a buon mercato.
All'epoca della moda Informale, solo Georges Mathieu meritò molta attenzione, ma il perché non è difficile da capire: il suo modo rapidissimo di dipingere, come fosse preso da raptus con i tubetti in mano, si prestava a una scrittura aneddotica e a una lettura piacevole. Così «Il pittore che aggredisce la tela» (su «Tempo», 7 novembre 1957) risulta un poco il contraltare europeo di Jackson Pollock, il cui dripping, un decennio prima, aveva conquistato le pagine ben più evolute del l'americana «Life».
Meglio dunque se si poteva puntare sul personaggio anziché sulle opere, soprattutto qualora offrisse dettagli piccanti: Picasso fu onnipresente, dalla pubblicità delle prime carte di credito agli allegati di approfondimento, ma era una manna quando si poteva fotografare «La nuova donna di Picasso» (in «Tempo», 7 luglio 1955): le sue storie sentimentali e i suoi bambini vennero riprodotti in ogni loro movenza, quasi fossero la famiglia di John Kennedy.
Occhieggia qua e là il problema della speculazione e del sistema non limpido di promozione critica, tanto da fare intitolare «I manovratori» un articolo di Fabrizio Dentice (su «L'Espresso», 4 marzo 1962) e «Questo vale, quello no» un pezzo del 1974 di T. Malaspina sulla stessa testata.
In questo panorama emergono comunque alcuni miracoli da rimpiangere: la raffinata rivista «Marcatré» recensiva con competenza l'arte Optical, nel 1965, dall'Italia di Getulio Alviani e Paolo Scheggi alla mostra «The Responsive Eye» al MoMA di New York. Dai tardi anni Sessanta, riviste di arredamento come «Interni», «Domus», «Casa Vogue» e una mitica «Bolaffi Arte» guardavano dal buco della serratura le case più belle del mondo, evidenziando la commistione di arte recente e design.
Molti spunti, dunque, da questo libro, tra cui due più evidenti di altre. Anzitutto, nelle testate a grande tiratura, il ruolo del cronista d'arte è stato spesso ritenuto di scarso rilievo, cosa che non ha aiutato il pubblico a uscire da pregiudizi e stereotipi di cui paghiamo ancora le conseguenze. D'altro canto le riviste più raffinate, anche quelle non del tutto specializzate, hanno saputo essere tempestive e forse meno conformiste di oggi. E ciò conferma, considerando anche la differenza di prezzo tra le due tipologie, una divisione tra classi sociali che si inoltrava nell'informazione e che non pare affatto superata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi, Maria Grazia Messina, Antonello Negri (a cura di), Arte moltiplicata. L'immagine
del '900 italiano nello specchio dei rotocalchi, Bruno Mondadori Ricerca, Milano-Torino, pagg. 390, € 32,00

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