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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2014 alle ore 06:48.

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MILANO
Sinora è stata la semplice somma negativa dello stato di crisi in cui versano i portafogli degli italiani: meno consumi, meno investimenti e quindi meno acquisti (dall'estero) per una domanda interna sempre più asfittica.
Ma dietro al calo consistente delle importazioni – che secondo i dati Istat resi noti ieri sono di un -6,9% sull'anno e di -2,2% mese su mese – impatta soprattutto la dinamica dei prezzi delle materie prime.
Il 2013 è stato il terzo anno consecutivo di calo per le quotazioni delle materie prime. L'anno scorso l'offerta è stata sostenuta – anche grazie alla disponibilità di shale oil americano – ma ha scarseggiato la domanda, soprattutto per effetto della crisi economica globale. E questo ha tenuto bassi i prezzi.
«Il che significa – ha spiegato Francesco Daveri, ordinario di Politica Economica all'Università di Parma – che se, da un lato, abbiamo importato meno petrolio e gas naturale perché le aziende hanno prodotto meno, quello che abbiamo acquistato lo abbiamo comunque anche pagato meno che in passato. Il calo dei listini di greggio, infatti, ci fa acquistare a miglior prezzo ma ridimensiona anche il valore di ciò che raffiniamo in Italia e che poi esportiamo».
Tanto è vero che, a novembre, abbiamo importato -24,3% di petrolio greggio e -19,3% di gas naturale, -16,8% di prodotti minerali e-13,6% di metalli. E, in maniera speculare, è calato anche il valore di quello che abbiamo esportato: -32,2% di prodotti petroliferi raffinati, -17,1% di prodotti in metallo, -4,6% di apparecchi elettronici e ottici.
Alla diminuzione delle importazioni contribuisce soprattutto la riduzione degli acquisti dai paesi extra Ue (-3,9%).
Ma le maggiori contrazioni all'import hanno riguardato gli acquisti da paesi Opec (-43,6%), Belgio (-19,8%) e Svizzera (-19,4 per cento).
Inoltre, soprattutto a partire dal secondo semestre dell'anno, la moneta unica si è costantemente apprezzata, raggiungendo in chiusura d'anno un valore medio dell'1,37.
«L'euro forte certamente penalizza, innanzitutto, l'export. Ma se anche altre economie sono in frenata, come l'Europa e in parte la Cina, per un Paese esportatore quale è l'Italia ne risente anche la catena degli acquisti di beni intermedi».
«Questi dati mostrano come il 2013 si chiuda come un anno fortemente negativo – ha aggiunto Franco Bruni, ordinario di Teoria e Politica monetaria internazionale alla Bocconi di Milano –. È evidente il deterioramento della nostra performance e non sembra che la diminuzione delle importazioni sia destinata ad interrompersi presto in prospettiva di un incremento degli ordinativi o di una ricostituzione delle scorte finalizzati a una ripresa della produzione. Inoltre, con i portafogli leggeri si tende a comprare più prodotti nazionali».
Per Bruni, insomma, l'import 2013 certifica la «stagnazione di lungo periodo e la ripresa internazionale troppo fragile e incerta per sostenere fiducia, consumi e, quindi, una ripresa di investimenti e acquisti finalizzati a produrre».
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