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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2014 alle ore 08:16.

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Sulla riforma elettorale è arrivato il momento della verità. Il Paese ha bisogno di un sistema di voto che metta i governi nella condizione di governare. Quello che è in vigore oggi, dopo la sentenza della Consulta, non è in grado di farlo. Nelle nostre condizioni, andare a votare con un sistema proporzionale sarebbe un disastro.

Sulla riforma elettorale è arrivato il momento della verità. Il Paese ha bisogno di un sistema di voto che metta i governi nella condizione di governare. Quello che è in vigore oggi, dopo la sentenza della Consulta, non è in grado di farlo. Nelle nostre condizioni, andare a votare con un sistema proporzionale che non decide vuol dire non solo fragilità dei governi, ma anche ulteriore distacco dei cittadini dalla politica. Gli elettori devono essere messi in condizione di decidere chi governa il paese. È questo il senso delle tre proposte di Renzi. Non riuscire a raggiungere questo obiettivo sarebbe la prova della irresponsabilità di una intera classe politica e un altro passo avanti sulla strada della deriva populista. Questo obiettivo si può raggiungere solo con sistemi disproporzionali. Va da sé che sistemi del genere favoriscono i partiti più grandi a spese di quelli più piccoli. Il conflitto tra questi due attori è inevitabile. Togli agli uni per dare agli altri. Ma il gioco non deve essere necessariamente a somma zero.
Tra i sistemi in discussione lo spagnolo è quello che raccoglie il consenso dei due partiti maggiori. Sia la Mattarella che il doppio turno non sono ben visti da Forza Italia per motivi più volte spiegati su queste pagine. Il Cavaliere ha maturato la convinzione radicata che il suo partito raccoglie più voti con le liste che con i candidati nei collegi uninominali. È convinto altresì che i suoi elettori siano pigri e che non vadano a votare al secondo turno, come spesso succede nei comuni. Né lo ha convinto l'argomento che un doppio turno a livello nazionale è cosa ben diversa da un doppio turno a livello locale. Quindi se l'accordo deve includere Forza Italia occorre tenere conto delle preferenze del Cavaliere e delle sue preclusioni.
La domanda che si fanno in molti dentro e fuori il Pd è se l'accordo con Berlusconi debba essere una condizione necessaria per fare la riforma elettorale. In altre parole perché non farla tenendo conto delle preferenze di Alfano, che è alleato di governo, e non solo di quelle di Berlusconi che sta all'opposizione? La risposta è semplice: quanto meno in prima battuta ha senso che, a differenza della legge Calderoli del 2005, sulla riforma elettorale ci sia il consenso dei partiti maggiori. Questo è tanto più vero in questo caso in cui in ballo non c'è solo l'accordo sul nuovo sistema di voto, ma anche quello su riforme costituzionali che non sono meno importanti: abolizione del Senato elettivo e Titolo V. Un accordo con Berlusconi sul sistema di voto aprirebbe la strada anche all'accordo sulle altre riforme. Un accordo senza di lui renderebbe invece tutto molto più problematico, quanto meno nei tempi di approvazione.
Certo, sarebbe meglio che l'accordo comprendesse anche i piccoli e in particolare il Nuovo centro destra di Alfano. La cosa non è impossibile. Dipende dalla disponibilità di tutte le parti a cercare un compromesso che tenendo fermo l'obiettivo della governabilità non sacrifichi eccessivamente la rappresentatività. Per esempio, se si parte da un sistema con piccole circoscrizioni e premio di maggioranza, si può fare in modo che i piccoli partiti possano essere rappresentati distribuendo i seggi a livello nazionale. Ci dovrà essere una soglia di sbarramento per limitare la frammentazione. Ma una volta superata la soglia i piccoli otterrebbero una quota di seggi che aumenterebbe anche a loro favore se decidessero di allearsi ai grandi per concorrere alla assegnazione del premio di maggioranza e lo vincessero. Da parte loro i partiti maggiori avrebbero la garanzia di poter conseguire – grazie al premio – una maggioranza assoluta di seggi. È una specie di spagnolo modificato. Su questa base un compromesso tra grandi e piccoli è possibile. Ma se così non fosse, solo allora varrebbe la pena di esplorare altre strade pur di arrivare a chiudere questa partita che è aperta da troppo tempo. Gli italiani sono stufi di sentir parlare di riforma elettorale. Nelle prossime ore si vedrà se il compromesso possibile è anche realizzabile. Ne va della credibilità di tutta la classe politica e del futuro del Paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATALe ipotesi sul tavolo
1 SPAGNOLO MODIFICATO L'ultima mediazione a cui lavora il leader Pd Renzi per tenere insieme la maggioranza con Angelino Alfano, più Silvio Berlusconi, è un modello spagnolo "modificato": circoscrizioni con liste bloccate corte, di pochi nomi, una soglia di sbarramento non inferiore al 5% e un premio di maggioranza del 20% per chi supera la soglia del 35%. A differenza del modello spagnolo le liste bloccate corte non comportano un effetto maggioritario: il riparto dei seggi è proporzionale e avviene a livello nazionale. Alfano rinuncia al doppio turno ma mantiene il proporzionale di base, unica possibilità di sopravvivenza per Ncd. Da parte sua Berlusconi ottiene il no alle preferenze, no ai collegi e no al doppio turno 2 SPAGNOLO PURO È il primo dei tre progetti che erano stati offerti dal leader del Pd alle altre forze politiche il 2 gennaio. La riforma della legge elettorale sul modello di quella in vigore in Spagna prevede una divisione del territorio in 118 piccole circoscrizioni con attribuzione alla lista vincente di un premio di maggioranza del 15% (92 seggi). Ciascuna circoscrizione elegge, con sistema proporzionale, un minimo di quattro e un massimo di cinque deputati. La soglia di sbarramento è fissata al 5% 3 MATTARELLUM RIVISTO La legge Mattarella (ribattezzato Mattarellum) ha regolato le elezioni politiche del '94, 96 e 2001 prima di essere sostituita dal Porcellum (a sua volta bocciato dalla Corte costituzionale). Quella proposta ai partiti da Renzi è una versione "rivisitata": previsti 475 collegi uninominali e l'assegnazione del 25% dei collegi restanti attraverso l'attribuzione di un premio di maggioranza del 15% e di un diritto di tribuna, per i piccoli partiti, pari al 10% del totale dei collegi 4 MODELLO DEI SINDACI La terza carta che era stata calata dal leader del Pd a inizio anno è il modello che lui stesso in passato aveva dichiarato di prediligere: il doppio turno di coalizione con cui vengono eletti i sindaci italiani. Il sistema prevede che chi vince prende il 60% dei seggi; i restanti sono divisi proporzionalmente tra i perdenti. Possibile sia un sistema con liste corte bloccate, con preferenze, o con collegi. La soglia di sbarramento è fissata al 5%

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