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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2014 alle ore 08:17.

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Insediamenti. Il nodo del contendere è forse la più spinosa delle questioni relative al conflitto israelo-palestinese. Insieme al ritorno dei rifugiati e allo status di Gerusalemme, uno dei tre temi irrisolti che paralizzano da decenni il processo di pace. Ma questa volta, su questo argomento bollente, l'Unione Europea, da sempre critica verso l'espansione delle colonie nei Territori palestinesi, e il Governo israeliano sono arrivati ai ferri corti.
L'ultima puntata di una lunghissima storia è iniziata giovedì, quando Italia, Gran Bretagna, Spagna e Francia hanno convocato i rappresentanti diplomatici dello Stato ebraico per esprimere la loro insoddisfazione sul progetto di costruire 1.800 nuove case a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Insediamenti definiti «illegittimi» anche dal Segretario di Stato americano, John Kerry. Irritato, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accusato di ipocrisia i quattro paesi europei. Ieri un altro passo in avanti nell'escalation diplomatica. Il ministero degli Esteri israeliano ha convocato gli ambasciatori dei quattro paesi per protestare contro «la loro perpetua posizione unilaterale contro Israele e a favore dei palestinesi». «Oltre a essere di parte - ha detto il portavoce del ministro Avigdor Lieberman - le loro posizioni squilibrate danneggiano in modo significativo la possibilità di raggiungere un accordo tra le parti». Immediata la contro risposta da Bruxelles, per bocca di Maja Kocijancic, portavoce del capo della politica estera europea, Catherine Ashton. «Sono illegali secondo il diritto internazionale e rappresentano un ostacolo per il proseguimento del processo di pace».
Dopo la guerra dei Sei giorni (1967), gli insediamenti in Cisgiordania sono andati crescendo anno dopo anno. Quasi tutti i premier israeliani hanno proseguito l'espansione. Fino alla situazione di oggi: con oltre 460mila ebrei al di là della linea verde distribuiti tra Gerusalemme (180mila) e la Cisgiordania (quasi 300mila), un territorio dove vivono 2,7 milioni di palestinesi. Gran parte della Comunità internazionale, tuttavia, non riconosce la legittimità delle colonie in Cisgiordania, così come le alture del Golan, conquistate dalla Siria nel 1967 e annesse nel 1981, e Gerusalemme Est, anche in questo caso annessa da Israele. L'espansione degli insediamenti, si lamenta la leadership palestinesde, ha trasformato la Cisgiordania in un territorio a macchia di leopardo, rendendo impraticabile la creazione di un futuro stato palestinese. Anche volendolo, lo smantellamento di tutte le colonie appare a questo punto un'operazione impraticabile. Se Israele, così come ha fatto intendere, annettesse soltanto Ariel, Gush Etzion e Ma'ale Adumim, tre città a tutti gli effetti, resterebbero comunque 70mila coloni da evacuare, qualora fosse raggiunto un accordo ancora tutto da verificare. Se si considera quanto è costato - in termini economici e sociali - lo smantellamento delle colonie della Striscia di Gaza e l'evacuazione dei suoi 8mila coloni, portato avanti dal premier Ariel Sharon nel 2005, si comprende la complessità della questione. Non solo. Netanyahu ha alzato la posta.Intenderebbe annettere a Israele un altra colonia, Beit El, a pochi passi da Ramallah, la "capitale" della Cisgiordania. Il processo di pace, ancora una volta, è una strada tutta in salita.
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