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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 20:20.
L'ultima modifica è del 20 gennaio 2014 alle ore 20:42.

PALERMO - Ce n'è per tutti. Per Nino Di Matteo, il pm del processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, per Matteo Messina Denaro che da latitante vuole comandare e si disinteressa alla sorte dei carcerati, per il presidente della Repubblica che non «deve testimoniare al processo sulla Trattativa». C'è poi il riferimento ironico, di pessimo gusto, sulla strage di Via Pipitone Federico, la prima con il sistema "libanese" delle autobombe, in cui fu ucciso il consigliere istruttore Rocco Chinnici e con lui due agenti della scorta e il portiere dello stabile in cui viveva Chinnici con la famiglia. E infine ce l'ha con tutta la popolazione «che non vuole ammazzare nessun magistrato» e anzi li difende.
Totò Riina passeggia in compagnia del boss della Sacra corona unita Alberto Lo Russo e si mostra particolarmente ciarliero: parla a ruota libera, 'u curtu, come forse mai aveva fatto prima. È rabbioso fino al limite della volgarità per dimostrare a Lo Russo e probabilmente non solo a lui chi è che comanda e far sapere cosa è opportuno fare in questa fase. In diverse occasioni i due "socializzano" all'interno del carcere di Opera dove sono detenuti. E vengono intercettati. Ora quelle intercettazioni, una ottantina di pagine, sono state depositate dai pm nell'ambito del processo sulla Trattativa e danno i dettagli dell'umore dell'anziano boss corleonese facendo emergere l'aspetto, del resto già noto, più cruento e crudele del Capo dei capi il quale parla con disprezzo per gli uomini delle scorte che definisce "anatroccoli" e "paparelle".
Vuole chiudere il conto con i magistrati palermitani che lo accusano, insieme a politici ed ex ufficiali dei carabinieri, di aver trattato per porre fine alla strategia della tensione a cavallo del biennio 92-93. Oppure, ma è un'ipotesi, vuole chiudere il conto perché sente toccata la sua legittimità di capo dei capi temendo che dal processo possa emergere che invece la mafia si fece strumento di altre strategie e che dunque Cosa nostra fu utilizzata per altri fini? Chissà: l'uomo, anche quando parla, è di difficile interpretazione perché nel dire tace cose fondamentali e usa la doppiezza mafiosa per lanciare messaggi.
Intanto emerge, in tutta la sua tracotanza, l'odio per Nino Di Matteo. Intercettato il 17 ottobre Riina è incontenibile: «Se io restavo fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo, al massimo livello. Ormai c'era l'ingranaggio, questo sistema e basta. Minchia, eravamo tutti, tutti mafiosi». Ma Riina, aggiornato in tempo (quasi reale) da Lo Russo, apprende della richiesta di testimonianza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al processo sulla trattativa: Lo Russo lo informa che le tv rilanciano le dichiarazioni del vice presidente del Csm (Vietti) e di altri politici che ritengono che il capo dello Stato non debba testimoniare. Riina approva: «fanno bene, fanno bene... ci danno una mazzata... ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo». Al che Lorusso dice: «sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare». Riina afferma: «Io penso che qualcosa si è rotto...». E qui vi sono i primi (cronologicamente) riferimenti riconducibili al pm Nino Di Matteo: «Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. È un disgraziato... minchia é intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani... ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende...»
E sempre riferendosi a Di Matteo il boss corleonese insiste: «Di questo processo, questo pubblico ministero di questo processo - dice Totò 'u curtu - , che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti? Minchia.... perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina. Io penso che lui la pagherà pure... lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel'hanno fatta finire a quello palermitano, a quello il pubblico ministero palermitano... Scaglione. A questo gli finisce lo stesso». Con un riferimento al magistrato Pietro Scaglione, ucciso dalla mafia insieme all'agente di scorta il 5 maggio 1971.
E in un'altra occasione, sempre parlando con Lo Russo, il boss di Cosa nostra, oggi ottantatreenne, dice sempre riferendosi a Di Matteo: «E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più. Vedi, vedi si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce. Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo... Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari. Deve succedere un manicomio deve succedere per forza, perché vedete deve succedere per forza».
Riina si vanta con il boss della Sacra Corona Unita di come ai suoi tempi le "cose" fossero fatte in modo "pulito". Delitti, omicidi, stragi che nella mente criminale del capo dei capi erano "meritati" dalle sue vittime. «Quelli si meritavano questo e altro - si legge nelle intercettazioni depositate -! Questo è niente quello che gli feci io! Gli ho fatto, però meritavano. Se ci fosse stato qualche altro avrebbe continuato e non hanno continuato e non hanno intenzione di continuare, nessuno». E fa un esempio: la strage in cui fu ucciso Chinnici. Un orrore che il capo dei capi racconta quasi con ironia: «Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il Procuratore generale di Palermo - dice riferendosi a Chinnici - saltato in aria per l'esplosione di un'autobomba il 29 luglio del 1983. Il capomafia corleonese, intercettato, descrive l'esplosione, alla quale assistette da lontano un commando di killer di Cosa nostra, che sbalzò in aria il magistrato facendolo poi ricadere a terra. «Per un paio d'anni mi sono divertito. Minchia che gli ho combinato» prosegue. E ancora: «Dobbiamo prendere un provvedimento per voialtri - dice Riina come se parlasse ai magistrati -, uno che vi fa ballare la samba così che vi fa salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche».
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