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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2014 alle ore 06:43.

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Stati Uniti battono Cina. Nel 2013 i consumi petroliferi americani sono cresciuti più rapidamente di quelli cinesi: un sorpasso che contraddice la tendenza – e alcune tra le convinzioni più diffuse – degli ultimi anni, ma che non stupisce del tutto. Negli ultimi mesi c'erano stati infatti numerosi segnali anticipatori, a cominciare dal netto rallentamento delle importazioni di greggio da parte di Pechino (si veda Il Sole 24 Ore dell'11 gennaio). Alcuni analisti avevano inoltre allertato sul risveglio della domanda Usa, per effetto non solo della ripresa economica, ma forse anche di una maggiore "spensieratezza" nei consumi figlia del recente boom petrolifero ottenuto grazie allo shale.
La frenata della Cina è significativa. Secondo i calcoli della Reuters, la domanda petrolifera del gigante asiatico – che un tempo appariva insaziabile – l'anno scorso è aumentata di appena l'1,6% nel 2013, ossia di 150mila barili al giorno: il tasso più basso da almeno 22 anni, osserva l'agenzia, se confrontato con le serie storiche dell'Agenzia internazionale dell'energia (Aie).
Nello stesso 2013 la domanda ha invece registrato un incremento dell'1,7% negli Usa, economia supermatura, dove molti ritenevano che i consumi di petrolio avessero raggiunto un picco storico nel 2007 e che fossero d'ora in avanti destinati se non al declino, quanto meno alla stabilità.
Le stime sulla Cina, che indicano una domanda implicita di 9,78 milioni di barili al giorno, potrebbero contribuire alla tendenza ribassista dei mercati petroliferi, già condizionati dalla probabile ripresa nei prossimi mesi delle esportazioni iraniane: da ieri Usa e Unione europea hanno ufficialmente alleggerito le sanzioni contro Teheran e il Brent è ai minimi da due mesi (106,35 $/barile).
A ben vedere, tuttavia, sono le statistiche Usa ad avere un maggior peso. Ogni stima sulla domanda cinese è giocoforza lacunosa, perché non può contare su un quadro completo di informazioni: Pechino non fornisce alcuna cifra sulle scorte, ad esempio, un tassello cruciale che la Reuters non ha potuto inserire nel quadro (le sue stime si basano sull'attività delle raffinerie e sull'import-export di greggio e prodotti).
Al contrario Washington fornisce cifre dettagliate e giudicate altamente attendibili dai mercati. E da queste emerge chiaramente non solo una ripresa, ma una progressiva accelerazione dei consumi. Come suggerisce l'analista indipendente Mark C. Lewis in un intervento sul Financial Times, le statistiche potrebbero insomma segnalare che il declino registrato dalla domanda Usa tra il 2008 e il 2012 potrebbe essere stato un fenomeno non tanto strutturale, come si credeva, quanto piuttosto congiunturale. «Se la domanda petrolifera Usa è cresciuta dell'1,7% nell'intero 2013 – osserva Lewis – nel secondo semestre, anno su anno, è stata del 3,2% e nel 4° trimestre del 3,8%. Nella settimana al 13 dicembre era appena sotto 21 mbg, il massimo da quasi sei anni su base settimanale, mentre nel 4° trimestre a 19,7 mbg era in linea con il consumo medio del 2008».
@SissiBellomo
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