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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2014 alle ore 18:33.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2014 alle ore 19:30.

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Obiettivi "europei" ai quali tutti gli stati dovranno concorrere unitamente, ma ciascuno con le sue ricette e le sue proporzioni. All'insegna - ripetono più volte Barroso e i Commissari Ue - di una «larga flessibilità».

Flessibilità, seppure con qualche regola comune, per partecipare alla corsa verso l'obiettivo «vincolante» del 40% di riduzione delle emissioni di C02 entro il 2030. Flessibilità per il ricorso alla moderna ma ambientalmente invasiva tecnica dello "shale gas" per ricavare prezioso metano aggiuntivo, contribuendo anche così a ridurre la crescente dipendenza europea dalla fonti energetiche altrui. E grande flessibilità anche nella corsa verso la massima efficienza nell'uso dell'energia. Che in questo caso sarà al massimo un cammino, se non un lento incedere, visto che la Commissione ha persino evitato di aggiornarne le mete, relegandola al più classico dei «provvederemo».

Prudenza, grande prudenza. Forse giustificata dall'acceso dibattito sulle alchimie energetico-ambientali (quali limiti e vincoli, come spartirli tra i paesi, come assicurarne il rispetto, come sanzionare le falle) che ha tenuto banco sino all'ultimo. E che evidentemente continua a produrre dubbi e questioni irrisolte. Tanto è vero che più di un analista storce il naso: in nome delle politiche «vincolanti» negli obiettivi ma «flessibili» nei mezzi, e pesino nelle proporzioni a cui gli stati devono contribuire, si delinea uno scenario davvero poco gestibile.

Per rispondere ai rilievi gli strateghi della Commissione Ue imbastiscono un percorso fatto di «verifiche periodiche» sul contributo che i singoli stati conferiranno, al di la degli impegni formali che dovranno essere assunti nei prossimi mesi. «E' come se un condominio approvasse un bilancio annuale preventivo, appunto vincolante, lasciando liberi i condomini di contribuire a loro giudizio, con flessibilità» si osserva. «Può sembrare così. Ma controlleremo e adatteremo vincoli e obblighi periodicamente, per garantire al massimo gli obiettivi» rispondono gli uomini di Bruxelles. Buona fortuna.

Certo, nella strategia appena abbozzata qualcosa di pregevole c'è. L'enfasi del vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani su una nuova politica all'insegna «dell'alleanza tra industria e ambiente» sembra condivisa. E trova per la verità qualche buon riscontro programmatico: la Commissione insiste sull'esigenza di fare leva sull'industria e più in generale sul sistema impreditoriale per creare davvero un unico bacino energetico europeo, con liberi scambi di energia in grado di favorire il contenimento dei prezzi.

Prezzi energetici più bassi da assicurare rafforzando i sistemi delle interconnessioni su due versanti: quello "fisico" delle reti e quello delle regole. Sul primo versante (reti) l'obiettivo, coerente ed apprezzabile, è quello di assicurare come minimo il 10% di capacità di interconnessione tra gli stati rispetto all'energia prodotta. Sul secondo versante (regole) prende forma un'impegno intuitivo quanto ritardatario: vanno uniformate le norme non solo per la concorrenza tra imprese ma anche, in particolare, quelle per l'erogazione degli incentivi per le energie rinnovabili. Incentivi che ora, come stranoto, finiscono non solo per produrre costi esorbitanti a carico dei consumatori non sempre commisurati ai vantaggi che se ne ricavano, ma anche sussidi che minano le basi della corretta concorrenza tra operatori.

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