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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 06:46.

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Nulla di fatto. Ieri la Camera si è riunita per proseguire l'analisi del decreto legge sulla Terra dei Fuochi e sull'Ilva. Su otto articoli, nella discussione i parlamentari sono arrivati fino al settimo, decidendo poi di rinviare il voto, decisivo per il placet che consentirà alla misura di passare al Senato, il quale la deve approvare entro il 10 febbraio.
Un rinvio dovuto alla necessità, ieri, di esaminare il decreto su Imu e Bankitalia, in scadenza. Tecnicamente una "sospensione": pur nella gravità dei temi, si continuerà non prima della prossima settimana.
Ilva e Terra dei Fuochi. Due nervi scoperti, nel corpo e nell'anima del Paese. Ieri mattina il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale una delegazione dell'Associazione «Noi genitori di tutti», aderente al Coordinamento Comitati Fuochi, guidata dal parroco del Comune di Caivano, Don Maurizio Patriciello, e composta da mamme che hanno perso i loro bambini per le conseguenze dell'inquinamento della terra campana. «Si è commosso, con le lacrime agli occhi e la voce rotta dall'emozione, si è dovuto interrompere e fermare per qualche minuto», ha detto Don Maurizio Patriciello riferendosi al Presidente Napolitano impegnato ad ascoltare «alcune mamme che hanno raccontato la loro storia».
Nella complessa transizione italiana, le urgenze dell'economia reale si accavallano con le inerzie degli apparati amministrativi, con le lentezze legislative e le fragilità strutturali della politica italiana. Politica italiana e cose da fare. Parli, delinei, precisi. Ti riunisci. Definisci, concordi, fai una mediazione. Ti aggiorni. Intanto, qualcuno protesta. E tu, a quel punto, arretri. Spesso non devi neanche cedere. Ogni rossore di imbarazzo ti è risparmiato. Perché i processi decisionali e gli iter legislativo-regolatori (di norma) allungano i tempi, ti consentono (spesso) di acquattarti dentro le buche dei formalismi, trasformano ogni tua decisione politica in una mozione da assemblea condominiale, sottoposta a mille pressioni emotive.
Le infrastrutture per le reti dell'energia (in particolare il gasdotto transadriatico, Tap) e il trasporto ferroviario (ad esempio, l'alta velocità Torino-Lione). Per il primo c'è un no della politica locale pugliese, perché nella visione di Vendola è in conflitto con l'economia turistica del Salento. Intorno alla seconda - mentre alla Commissione Esteri del Senato ieri era all'ordine del giorno l'esame del disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Italia e Francia - aleggia una tensione che da un momento all'altro rischia di trasformarsi in violenza fisica verso i suoi sostenitori.
Le reti per l'energia e per il trasporto ferroviario non sono soltanto i dossier che, in questi giorni, hanno subito in misura maggiore l'ondivaga debolezza italiana, spesso avulsa da ogni coerenza di scelta e di comando. Sono anche tessere fondamentali del mosaico noir dei problemi profondi che affliggono il nostro tessuto produttivo.
Prendiamo quel vero e proprio benchmark rappresentato dall'Osservatorio del Non Fare, che ha calcolato in 383,5 miliardi di euro i costi (a carico della collettività) della mancata realizzazione (fino al 2024) delle opere. «Dato che l'industria in senso stretto pesa per il 19,3% sul Pil - riflette Giampaolo Vitali, ricercatore del Ceris-Cnr e segretario del Gruppo Economisti di Impresa - si può stimare che il costo a carico del sistema industriale in senso esteso non sia troppo distante dai 100 miliardi».
Consideriamo – nell'equazione degli effetti economici del non fare formata anche da rifiuti, viabilità e reti idriche – soltanto l'energia e le ferrovie. Il contributo negativo dell'energia è pari a 34 miliardi. «Almeno sette – calcola Vitali – potrebbero essere imputabili all'industria». Enorme il costo del non fare nelle ferrovie: 157,35 miliardi. «Applicando la medesima proporzione – nota Vitali – si arriverebbe alla cifra, sulle spalle delle imprese, di oltre 31 miliardi». In tutto, qualcosa come 38 miliardi.
Dunque, in un contesto di "stabilità inerte", un ipotetico stop all'alta velocità e una mancata soluzione al problema del gasdotto pugliese (Tap o non Tap) produrrebbero effetti duraturi sugli assetti produttivi italiani. Effetti che, in caso di implosione di un affaire Ilva in bilico fino a che il quadro regolatorio non avrà trovato un suo assetto e fino a che i Riva non avranno deciso che fare (muro contro muro o adesione all'aumento di capitale), provocherebbero un vero shock macroeconomico.
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