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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:47.

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Carlo Mazzacurati (Ansa)Carlo Mazzacurati (Ansa)

Alla Mostra del cinema di Venezia di due anni fa, alla proiezione del documentario Medici con l'Africa, nella sala stracolma c'era anche moltissima gente di cinema. Si sapeva che l'autore, Carlo Mazzacurati, era malato da tempo, e in tanti erano venuti a portargli sostegno e affetto. Mazzacurati, morto ieri a soli 57 anni, oltre che un ottimo regista, era per unanime opinione una delle persone umanamente migliori del nostro cinema. E in quel film, pur malato, si era messo generosamente al servizio di un'associazione di medici attivi in Africa, raccontandoli con partecipazione e curiosità.

In seguito, con grande energia, era riuscito a realizzare ancora un altro film, La sedia della felicità, ambientato in Trentino. Mazzacurati, padovano, aveva raccontato i suoi luoghi in molti film, scorgendo in essi un luogo decisivo della trasformazione del nostro Paese. Il suo esordio, Notte italiana (1987), primo titolo prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, era stato un'autentica rivelazione per il tono amaro e gentile in cui mostrava la corruzione quotidiana e diffusa dei nostri costumi. E questo suo tono ironico e malinconico, sostenuto da una moralità solida e mai esibita, aveva nutrito i suoi film migliori: Un'altra vita (1992), Il toro (1994, Leone d'argento a Venezia) e La giusta distanza (2001), forse il migliore, fotografato superbamente da Luca Bigazzi, che raccontava una provincia sbandata in cui una maestrina veniva misteriosamente uccisa, e del delitto veniva incolpato un extracomunitario.
Gli immigrati erano peraltro uno dei suoi temi prediletti, come in Vesna va veloce (1996) e L'estate di Davide (1998), e più in generale gli era caro un mondo di marginali, balordi e buffi, impegnati in furti, truffe e nell'arte di arrangiarsi, interpretati di volta in volta da Antonio Albanese o Silvio Orlando, Marco Messeri o Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio o Roberto Citran.

Il suo amore per un Nordest nobile e civile era emerso poi in pieno documentari dedicati a scrittori come Mario Rigoni Stern, Luigi Meneghello e Andrea Zanzotto, alcuni realizzati in collaborazione con Marco Paolini (di un altro grande scrittore veneto, Goffredo Parise, aveva adattato per lo schermo Il prete bello, nel 1989). E della sua ironia resta testimonianza in alcune particine nei film di Nanni moretti, come quella esilarante come critico pentito in Caro diario (1992). Ma la sua importanza rimane quella di narratore di un Nordest votato all'arricchimento e sempre meno amabile. Mai troppo freddo, ma nemmeno indulgente, Mazzacurati lì ha mostrato la sua vena migliore, anche come osservatore di paesaggi: l'insieme dei suoi titoli sarà negli anni a venire anche la personale testimonianza su luoghi decisivi nella nostra storia recente, ma che per lungo tempo solo lui ha raccontato con tanta costanza e tanto affetto.

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