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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2014 alle ore 08:18.


MILANO
«Non è un divorzio, ma una separazione concordata e programmata sin dall'inizio». Francesco Di Marco, ad di Amgen Italia, ci tiene a precisare il modo consensuale con cui si è conclusa la joint venture Amgen Dompé, nata nel 2008, dopo 16 anni di collaborazione, tra la filiale italiana della multinazionale di biotecnologie farmaceutiche e Dompé, una delle principali aziende biofarmaceutiche del nostro Paese.
La separazione è l'esito naturale di una partnership ventennale nel campo della ricerca di farmaci innovativi per patologie gravi e rare, che ha consentito a entrambe le aziende di crescere e consolidarsi attraverso un «trasferimento paritetico di competenze», come ha spiegato Eugenio Aringhieri, ad di Dompé, che conta circa 500 dipendenti e 400 milioni di ricavi nel 2013 (+5% rispetto al 2012).
«All'inizio degli anni 90 Amgen in Italia era una piccola realtà – precisa Di Marco –. Ma oggi siamo in grado di camminare con le nostre gambe e consolidarci sul mercato italiano, nel segno della continuità». La riacquisizione delle quote azionarie da parte di Amgen non segna dunque un passo indietro dall'Italia da parte del colosso statunitense (leader mondiale nelle biotecnologie per fatturato), ma al contrario «testimonia la fiducia che il gruppo ripone nel nostro Paese e nella volontà di investire qui». Chiuso il 2013 con un fatturato di 220 milioni (-5% rispetto al 2012) la società punta a rafforzarsi in Italia seguendo due linee di sviluppo: l'arricchimento del portfolio di farmaci, aprendo anche al campo cardiovascolare, e una politica di acquisizioni aziendali per integrare competenze e risorse. La controllata italiana occupa attualmente 256 dipendenti e porta avanti un programma di ricerca che coinvolge oltre 300 centri clinici in Italia, con 50 molecole a vari livelli di sviluppo e 14 nella fase III.
Per Dompé, ha spiegato Aringhieri, l'obiettivo principale è consolidarsi sui mercati esteri, in particolare Europa e Usa. Cuore dello sviluppo è la politica di investimenti in R&S (raddoppiati in tre anni), che lo scorso anno hanno raggiunto il 12% del fatturato e una quota analoga è prevista per il 2014. «Abbiamo testa e cuore in Italia, ma una distribuzione in 30 Paesi. Intendiamo consolidarci nella ricerca di prodotti per trapianti, diabetologia, oncologia e oftalmologia. La sfida è su un piano globale: per questo serve una politica di partnership e acquisizioni mirate, come quella portata avanti negli ultimi anni».
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